Umiltà: il Sentiero Dimenticato - ADI-Media

Umiltà: il Sentiero Dimenticato

Mediante la speranza, Daniele acquistò coraggio. Fu, però, la sua speciale umiltà ad acquistargli un particolare favore agli occhi dei suoi carcerieri.

Per prosperare a Babilonia, egli aveva bisogno di una dose abbondante di entrambe le qualità. Il coraggio senza umiltà porta a un inutile martirio. L’umiltà senza coraggio porta alla codardia. Insieme, coraggio e umiltà possono scuotere le fondamenta dell’inferno, facendo avanzare il regno di Dio nei luoghi più improbabili. Anche nella nostra moderna Babilonia.

 

UN SENTIERO NON SOLTANTO DIMENTICATO

Purtroppo, oggi il sentiero dell’umiltà viene percorso raramente. Esso non viene soltanto dimenticato, ma è oggetto di un sostanziale disprezzo. Nessuno vuole incamminarsi per questo sentiero. Soprattutto gli uomini.

Non credo di aver mai sentito un padre dire di voler vedere suo figlio crescere cercando di essere profondamente umile. Questo lo identificherebbe come una persona debole, rappresentando una caratteristica perlopiù negativa. Quando parliamo di un uomo e segnaliamo le sue umili origini, non intendiamo certo fare un complimento, e quando parliamo di persone che vivono in condizioni umili, di certo non proviamo invidia.

Le nostre definizioni moderne di umiltà tendono ad attribuire alla parola il senso di mancanza di autostima. Il termine evoca un atteggiamento debole e rinunciatario, caratterizzato dall’assenza di ambizione, quasi nello sforzo di minimizzare inostri obiettivi.

Non c’è da meravigliarsi se la maggior parte di noi tratta l’umiltà come un nobile ideale utopico, e non la desidera per sé; al massimo è qualcosa da adoperare in qualche rara occasione.

Ma la mancanza di autostima, l’atteggiamento molle e debole, l’assenza di ambizione e la negazione dei nostri punti di forza e obiettivi non hanno nulla a che vedere con l’umiltà biblica. Queste cose non sono i segni della maturità spirituale, sono il contrassegno dell’insicurezza. Il tipo di umiltà che aveva Daniele (e il genere di umiltà a cui il Signore ci chiama) è qualcosa di completamente diverso.

 

L’UMILTÀ SECONDO LA BIBBIA

Per comprendere che cosa intenda la Bibbia per umiltà, dobbiamo prima chiarire alcuni dei giudizi più diffusi (e non biblici) che hanno reso l’umiltà un sentiero lungo il quale pochi vogliono incamminarsi.

 

Non è mancanza di autostima

L’umiltà biblica non è sinonimo di mancanza di autostima. La Bibbia ci ordina di fare una valutazione accurata dei nostri punti di forza e delle nostre debolezze: non dobbiamo valutare noi stessi più del dovuto, ma neppure meno del nostro valore effettivo. Dobbiamo valutare i nostri doni, le nostre abilità, i nostri punti di forza e le nostre debolezze secondo dei criteri sani e sobri.

Gesù era umile, ma aveva anche un’opinione piuttosto elevata di sé stesso. Egli dichiarò di essere Dio: questa non è un’af­fermazione di scarsa autostima. Daniele descrisse sé stesso ei suoi amici come “ragazzi senza difetti fisici, di bell’aspetto, dotati di ogni saggezza, istruiti e intelligenti, capaci di stare nel palazzo reale per apprendere la scrittura e la lingua dei Caldei”(Daniele 1:4). Mi sembrano parole di autostima, persino un po’immodeste. A quanto pare, a Daniele piaceva quello che ve­deva quando guardava nello specchio.

Non c’è nessuna virtù nella mancanza di fiducia o nell’umiliazione di sé: se siamo belli e qualificati per servire nel palazzo del re, Gesù si aspetta che lo riconosciamo e ne traiamo le debite conseguenze. Non dobbiamo essere arroganti e incapaci di riconoscere il valore degli altri, ma non c’è niente da guada­gnare schermandoci dietro una falsa modestia.

 

Non è mancanza di ambizione

Allo stesso modo, l’umiltà non è contraria all’ambizione. Daniele e i suoi compagni erano ambiziosi, avevano lavorato duramente per ultimare gli studi cercando di essere i migliori del loro corso. Daniele fece in modo che ai suoi tre amici, Sadrac, Mesac e Abed-Nego, fosse affidata l’amministrazione della provincia. Quando divenne responsabile di tutti i saggi di Babilonia, questa fu la prima cosa che chiese a Nabucodonosor.

Proviamo a considerare Giacomo e Giovanni. Quando mandarono la madre da Gesù a chiedere di concedere loro posizioni di rilievo nel Suo regno, Egli non li rimproverò per la loro ambizione (o per aver mandato avanti la mamma). Li rimproverò per non aver capito ciò che avrebbe comportato il fatto di ricoprire quel ruolo. Se volevano essere grandi, Gesù non aveva nulla in contrario. Dovevano però comprendere che la strada che conduce alla grandezza coincide con il sentiero dell’umile servizio, e il cammino per occupare i primi posti, corrisponde al percorso che ti porta a diventare un servo.

 

Non si tratta di sminuire i risultati raggiunti

Infine, l’umiltà biblica non significa evitare di raccontare i nostri successi o rifiutarsi di gioirne.

Ricordo un caro amico il cui padre voleva far crescere i figli nell’umiltà. Insegnava loro che parlare pubblicamente dei loro successi era un atteggiamento borioso. Il mio amico naturalmente non lo faceva; anche quando la conversazione volgeva in quella direzione, lui rapidamente deviava verso un altro argomento.

Purtroppo il risultato ottenuto da quel padre non fu l’umiltà, ma quattro figli con una “ferita” nell’anima. Oggi vivono facendo i conti con un penoso senso d’insicurezza. Sanno che il loro padre li amava, ma non sono certi che egli sia mai stato contento di loro.

L’umiltà biblica è anche una disposizione a passare inosservati, a non insistere sulla ricerca dell’onore o del riconoscimento pubblico, a non strombazzare la propria condizione o i successi in maniera scomposta. Tuttavia, essa non induce a nascondere o a svalutare i nostri successi.

Dopotutto, se conosciamo gli avvenimenti gloriosi che caratterizzarono la vita di Daniele, dipende dal fatto che scrisse un libro per raccontarcele. Il Signore non condannò questa scelta come fosse una mancanza di umiltà, anzi fece in modo che il testo fosse ricompreso nel canone delle Scritture.

 

L’umiltà biblica consiste nel servire gli altri

interessi altrui al di sopra dei nostri. Consiste nel trattare gli altri come “importanti”.

Non vuol dire che dobbiamo fare da zerbino. Significa che assumiamo coscientemente un’attitudine di servizio.

“Non fate nulla per spirito di parte o per vanagloria, ma ciascuno, con umiltà, stimi gli altri superiori a se stesso, cercando ciascuno non il proprio interesse, ma {anche} quello degli altri. Abbiate in voi lo stesso sentimento che è stato anche in Cristo Gesù”
(Filippesi 2:3-5)

Mi rendo conto quanto sia facile parlare di servire umilmente il prossimo, ma non è così facile praticare realmente questo servizio, specialmente quando si tratta di persone che preferiremmo non servire. Eppure l’umiltà biblica consiste proprio in questo: ci spinge a servire non soltanto coloro che lo meritano ma anche quelli che non lo meritano per niente. Ecco perché è chiamata umiltà.

Quando Abramo lasciò a suo nipote Lot la scelta della parte di terra che desiderava, fu un atto di umiltà biblica. Come patriarca della famiglia, Abramo aveva diritto di scegliere la terra migliore. Ma invece di comportarsi egoisticamente, egli concesse la prima scelta a Lot, accettando di vivere nella porzione restante.

Il vantaggio concesso a Lot, che gli consentì di accaparrarsi il terreno migliore, si rivelò la scelta più deleteria, conducendolo in un tragico percorso verso la rovina. Di contro, subito dopo quell’atto di umiltà e quella dimostrazione di disinteresse, il Signore promise ad Abramo che Egli stesso gli avrebbe dato il possesso di tutto ciò che riusciva a cogliere con lo sguardo. L’umiltà biblica funziona in questo modo. Quando intraprendiamo un ammino di servizio per il bene degli altri, arriva il momento in cui sperimentiamo il favore e la benedizione da parte di Dio.5

L’umiltà biblica ci spinge a compiere un passo successivo: non si mette a servizio soltanto chi se lo merita, ma ci induce a servire anche i nemici di Dio. Quando Gesù lavò i piedi dei Suoi discepoli, incluse anche Giuda. E quando Egli definì il prossimo che dovrebbe essere oggetto del nostro amore, indicò chiunque incroci il nostro cammino: amico, nemico e, se vogliamo, perfino quelli che potevano essere reputati eretici.

 


Estratto da “Prosperare a Babilonia”
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