La Morte è un "Problema Tecnico" da Risolvere? - ADI-Media

La Morte è un “Problema Tecnico” da Risolvere?



Il famoso intellettuale Yuval Noah Harari nel best-seller mondiale Homo Deus pensa che la morte fisica si sia ridotta a un mero problema tecnico che richiede una soluzione da parte della scienza medica.  In altre parole, Harari pensa che in un futuro non troppo lontano, sebbene possiamo morire, non dovremo per forza morire. Si troverà una “cura” per la morte, come se la fine della vita fosse una malattia – ma lo è? Io non ne sarei così sicuro.

Uomini come “macchine difettose”?

Nonostante ciò, molti rimangono affascinati dalle teorie di Yuval Harari e la cosa più importante per noi è che Harari costruisce su alcune tesi, in particolare sulla terza che viene affrontata con toni esplicitamente atei, una visione del mondo che rappresenta lo scenario per le sue riflessioni sul futuro:

“Gli esseri umani non muoiono … perché Dio lo ha deciso o perché la mortalità è una parte essenziale di qualche grande piano cosmico. Gli uomini muoiono sempre a causa di un malfunzionamento tecnico … ogni problema tecnico ha una soluzione tecnica. Non dobbiamo aspettare la Seconda Venuta di Gesù Cristo per sconfiggere la morte”.

Ovviamente, si tratta di affermazioni destituite di ogni prova e questo spinge a chiederci se Harari si aspetti realmente che noi siamo così ingenui da accettarle sulla base della sua autorità. Eppure, il desiderio di sfuggire alla morte è tale che molte persone potrebbero essere indotte a credere a queste affermazioni. Proprio alla luce di ciò, Harari afferma che il primo degli obiettivi dell’umanità nel ventunesimo secolo sarà quello di cercare di raggiungere l’immortalità, trovando ampio appoggio proprio nella paura della morte che è radicata negli uomini. Questo timore si riflette nella decisione di alcune persone facoltose che hanno fatto congelare i propri corpi dopo la morte (criogenia) nella speranza di essere riportati in vita quando gli scienziati scopriranno come riattivare un cervello congelato.

Nella Bibbia leggiamo che nel Giardino di Eden c’era un secondo albero, quello della vita. Una delle conseguenze della scelta di mangiare il frutto dell’albero della conoscenza del bene e del male fu che venne negato all’uomo l’accesso all’albero della vita. Da ciò possiamo ipotizzare che gli esseri umani, al momento della creazione, non fossero intrinsecamente immortali, poiché il Signore disse: “Guardiamo che egli non stenda la mano e prenda anche del frutto dell’albero della vita, ne mangi e viva per sempre” (3:22). L’impossibilità di accedervi dopo la Caduta determinò inevitabilmente il declino e la morte fisica, sebbene non fu istantanea. Viene da chiedersi se la leggendaria ricerca dell’elisir di lunga vita nel mondo antico e l’attuale ricerca dell’immortalità per mezzo del silicio, non trovino le loro radici proprio nel racconto di Genesi.

Tutto ciò ci mostra che l’affermazione di Yuval Harari secondo il quale la morte, oggi, è “soltanto un problema tecnico” sia del tutto fuorviante. E se il racconto di Genesi ci stesse dicendo che l’immortalità fisica, nel senso di una vita potenzialmente infinita sulla terra, resterà sempre al di là della nostra capacità intellettiva?

La soluzione di Dio alla morte

Il Signore, alla fine, si occuperà della morte fisica, ma non risolvendola mediante mezzi tecnologici (come suggerisce Yuval Harari). Innanzitutto, Dio, risuscitando Gesù, ha dimostrato che la morte fisica è superabile. Il Nuovo Testamento afferma che Dio “ha distrutto la morte e ha messo in luce la vita e l’immortalità mediante il vangelo” (II Timoteo 2:10). La morte non avrà l’ultima parola, poiché la risurrezione fisica di Gesù è soltanto l’inizio della restaurazione del genere umano e di tutta la creazione; restaurazione completa che avverrà in occasione del Suo ritorno:

“Poiché dunque i figli hanno in comune sangue e carne, egli pure vi ha similmente partecipato, per distruggere, con la sua morte, colui che aveva il potere sulla morte, cioè il diavolo, e liberare tutti quelli che dal timore della morte erano tenuti schiavi per tutta la loro vita” (Ebrei 2:14, 15).

Cerchiamo di comprendere bene il significato esatto di questi versetti. Non ci viene detto che chi ripone la fiducia in Cristo non affronterà mai la malattia, il dolore e la pena legata al decesso; né che non ne avrà mai paura, poiché il timore è un riflesso automatico e naturale legato alla nostra condizione umana e fa parte dei meccanismi di autodifesa, in quanto la natura stessa si oppone alla morte.

Le persone hanno paura di morire per due motivi opposti: innanzitutto, alcuni temono che non ci sia nulla dopo la morte, quindi la vita presente è tutto ciò che esiste e, piuttosto che perdere la vita fisica, compromettono la lealtà a Dio, alla verità, alla fede, all’onore, ai principi fino alla più becera codardia, tutto pur di salvarsi la vita. La paura della morte, quindi, tiene queste persone in una condizione di schiavitù morale.

In secondo luogo, altri hanno paura della morte non perché dopo non ci sia nulla, ma perché temono che ci sia fin troppo. Soprattutto un giudizio finale con delle conseguenze eterne.

L’unione della morte di Cristo e la Sua risurrezione fisica, da vero uomo, emancipa i credenti da entrambe queste paure. Li affranca da quel senso di smarrimento di fronte alla morte di una persona amata, ricordando che i loro cari “partiti dal corpo” ora “abitano con il Signore” (II Corinzi 5:8) o come il Signore stesso ha detto, saranno “con me in paradiso” (Luca 23:43). Questo è il segreto che alimenta il coraggio dei martiri cristiani, pronti a morire pur di non rinnegare il loro Salvatore.

La morte di Cristo, libera quelli che confidano in Lui anche dal secondo tipo di paura: la sicurezza che Cristo, con la Sua morte sacrificale, ha pagato pienamente il prezzo dei loro peccati.  La morte fisica si sperimenta una volta, e il Giudizio si affronta dopo la morte. Per i credenti, la morte di Cristo rappresenta la piena espiazione dei loro peccati (cancella definitivamente i peccati che diversamente sarebbero ricaduti sotto il Suo giudizio). Di conseguenza, per i credenti c’è questa magnifica certezza: “Come è stabilito che gli uomini muoiano una volta sola, dopo di che viene il giudizio, così anche Cristo, dopo essere stato offerto una volta sola per portare i peccati di molti, apparirà una seconda volta, senza peccato, a coloro che lo aspettano per la loro salvezza” (Ebrei 9:27, 28). Cristo, che assumerà Lui stesso il ruolo di giudice (Giovanni 5:22), dichiara: “In verità, in verità vi dico: chi ascolta la mia parola e crede a colui che mi ha mandato, ha vita eterna; e non viene in giudizio, ma è passato dalla morte alla vita” (Giovanni 5:24).

Secondo Harari, arriveremo alla soluzione del problema fondamentale, in altre parole alla sconfitta della morte fisica. Eppure questo non avverrà a seguito degli sviluppi in campo scientifico, poiché la buona notizia è che la risurrezione corporea di Cristo mette nei cuori di chi crede in Lui la certezza e la speranza della loro risurrezione corporea. Per trasmetterci questa verità, la stessa risurrezione di Cristo è citata dall’apostolo Paolo quale primizia di una grande raccolta (I Corinzi 15:20). Proprio come le primizie rappresentano l’anticipazione di un raccolto che verrà in futuro, allo stesso modo la risurrezione di Gesù preannuncia una grande raccolta che avverrà in occasione della seconda venuta di Cristo: la risurrezione di tutti i credenti di ogni epoca. Chi è morto prima del ritorno del Signore tornerà in vita; chi è in vita sarà trasformato in un momento e tutti avremo un corpo simile a quello di Cristo glorificato dopo la risurrezione (I Corinzi 15:50-57; Filippesi 3:20).

Questo significa, come è già accaduto nella vicenda di Cristo, che i credenti sperimenteranno un rivestimento fisico dopo la morte. Un aspetto interessante di questa prospettiva, guardando ai tentativi di creare la vita basata sul silicio, è l’accenno che il corpo di Gesù risorto non era esattamente uguale a quello che fu sepolto. Quel corpo risorto aveva nuove prerogative (per esempio, poteva passare attraverso le porte cosicché, in un certo senso, sembrava appartenere a un’altra dimensione).

In I Corinzi 15, l’apostolo Paolo confronta il corpo naturale con quello spirituale successivo alla risurrezione. Un corpo spirituale non equivale a un corpo fatto di spirito, così come un motore a benzina non è un motore fatto di benzina. Gesù disse ai Suoi discepoli di non essere uno spirito: “Uno spirito non ha carne e ossa, come vedete che ho io” (Luca 24:39). Se a questo aggiungiamo l’affermazione di Paolo secondo cui “carne e sangue” non erediteranno il (futuro) regno dei cieli, allora vediamo che è marcata una differenza fisica fra il corpo umano, così come è adesso, rispetto a quello di cui disporremo in futuro. La mia esistenza non cesserà, ma non dipenderà dalla capacità tecnologica di caricare i contenuti del mio cervello su un supporto in silicio.

Alcuni pensano che l’idea di una risurrezione corporea sia assurda dato che, quando moriamo, gli atomi del nostro corpo si disperdono, confondendosi con gli elementi circostanti e, in qualche misura, diventeranno parte di altri esseri viventi. Com’è possibile, affermano questi scettici, parlare in modo sensato di una risurrezione fisica? Questa obiezione, però, sembra trascurare alcuni elementi importanti.

È vero che, alla morte, gli atomi dei nostri corpi si disperdono ma, ovviamente, non c’è bisogno di aspettare la morte perché questo accada: le cellule (e quindi gli atomi) del nostro corpo sono in costante cambiamento e dispersione. Nessuna delle cellule presenti ora nel mio corpo era presente dieci anni fa (fatta eccezione, probabilmente, per alcune cellule specializzate del cervello). Eppure, nonostante questo cambio e ricambio di atomi e cellule, e malgrado l’invecchiamento, l’identità sostanziale del mio corpo rimane la medesima, in maniera inconfondibile. Una dimostrazione chiara è data dal fatto che le impronte digitali di una persona (che sono uniche) rimangono le stesse per tutta la vita (a meno di cicatrici o mutilazioni). Questo fatto, dimostrato per la prima volta da Sir Francis Galton nel 1888, gioca un ruolo decisivo nell’identificazione dei criminali. La medesima cosa si può dire per quanto riguarda l’identificazione tramite il DNA.

Di ciascun essere umano, in qualunque epoca sia vissuto, Dio conosce tutto ciò che concorre al mantenimento dell’identità del suo corpo nell’arco di tempo in cui vive su questa terra. In occasione della futura risurrezione, il Signore, che ha creato inizialmente la materia dal nulla, non avrà alcuna difficoltà a intervenire su quella sostanza corporea che sarà espressione di una precisa identità. Ogni credente avrà un corpo simile a quello di Cristo glorificato dopo la risurrezione (quindi acquistando caratteristiche di cui il nostro corpo è attualmente sprovvisto).

“E come abbiamo portato l’immagine del terrestre, così porteremo anche l’immagine del celeste. Ora io dico questo, fratelli, che carne e sangue non possono ereditare il regno di Dio; né i corpi che si decompongono possono ereditare l’incorruttibilità. Ecco, io vi dico un mistero: non tutti morremo, ma tutti saremo trasformati, in un momento, in un batter d’occhio, al suono dell’ultima tromba. Perché la tromba squillerà, e i morti risusciteranno incorruttibili, e noi saremo trasformati. Infatti bisogna che questo corruttibile rivesta incorruttibilità e che questo mortale rivesta immortalità” (I Corinzi 15:49-53).

Una certezza eterna

La deduzione che ogni credente è portato a fare alla luce della certezza della risurrezione corporea è che la vita in questo corpo e in questo mondo, va vissuta al meglio delle proprie possibilità, utilizzando tutte le energie e ogni singolo talento, nonostante i dolori, le sofferenze, l’invecchiamento e la morte: “Perciò, fratelli miei carissimi, state saldi, incrollabili, sempre abbondanti nell’opera del Signore, sapendo che la vostra fatica non è vana nel Signore” (I Corinzi 15:58). Questo significa che appartenendo a una razza sprofondata nel peccato, sebbene il nostro organismo sia soggetto al decadimento e alla morte, quello che ciascuno di noi compie nel proprio corpo ha un valore eterno.

L’IA può fare passi in avanti buoni e utili che aiuteranno l’umanità, ma, indipendentemente dalle aspettative, il messaggio centrale del cristianesimo è che il futuro è molto migliore di qualunque promessa legata alla tecnologia, poiché al nostro pianeta è già accaduto qualcosa di infinitamente più grande: Dio, causa prima dell’intero universo, delle Sue leggi e dell’architettura della mente umana, il Logos divino che era nel principio, si è fatto uomo: la Parola è diventata carne e ha abitato fra di noi. Questa non è Intelligenza Artificiale ma Intelligenza Reale, ben al di là di tutto ciò che è concepibile o realizzabile dall’uomo.

Il fatto che Dio si sia fatto uomo rappresenta l’evidenza più grande dell’unicità degli esseri umani e dell’impegno di Dio nei confronti dell’umanità. Gli esseri umani sono unici proprio perché il Signore ha potuto farsi anch’Egli uomo. Chi ha ricevuto Cristo, un giorno, al Suo ritorno, sarà “potenziato” per essere simile a Lui e condividere le meraviglie della realtà eterna.

Questo era il piano originario, che rimane immutabile, rivelando delle enormi conseguenze per il cielo e per la terra. Considerando che questa nuova creazione ha una dimensione fisica, cosa ci resterebbe da creare in virtù delle più avanzate tecnologie che riusciremo a sviluppare? I credenti (ma anche tutti gli altri) devono riflettere attentamente sulle implicazioni delle dottrine cristiane della risurrezione e del ritorno di Cristo con riferimento all’intelligenza artificiale e alla corsa volta alla creazione dell’Homo deus. Se l’insegnamento cristiano è vero, allora l’impegno per sconfiggere il problema tecnico della morte si dimostrerà, alla fine, futile, sebbene i progressi tecnologici potranno aiutare ad alleviare la vecchiaia e a risolvere parecchi problemi a livello diagnostico o terapeutico. Ma gli uomini non sono stati fatti per vivere su questo pianeta per sempre. C’è qualcosa di molto grande alla nostra portata che fa sembrare le ipotesi di Yuval Harari alquanto insignificanti.


Articolo tratto da “2084”