Le Cicatrici che Mi Hanno Modellata

Le Cicatrici che Mi Hanno Modellata

Ho a lungo disprezzato le cicatrici prodotte dalle operazioni chirurgiche che ho subito. Ho passato gran parte della mia vita a nasconderle, avendo cura di tenere le mie gambe quanto più coperte possibile. Le mie cicatrici mi ricordavano che non ero come tutti gli altri. Mi convincevano che ero poco attraente, bizzarra, un po’ strana. Alcune persone sono orgogliose delle proprie cicatrici poiché – almeno sostengono – possono testimoniare del proprio coraggio: esse mostrano agli altri ciò che hanno dovuto patire, rappresentano un biglietto da visita per coloro che le hanno dovute sopportare; portano con sé storie di coraggio e parlano di autentiche avventure.

Nel mio caso invece esse non erano medaglie da esibire né titoli di merito che raccontavano quanto fossi stata coraggiosa. Rappresentavano, piuttosto, delle debolezze da nascondere. Mi ricordavano, ogni giorno, i miei difetti, come se fossi una bambola danneggiata.

Da adolescente desideravo disperatamente un corpo perfetto, convinta che mi avrebbe fatto sentire accettata; invece vedevo nello specchio il riflesso di un corpo deformato dalla poliomielite e ulteriormente contrassegnato dalle ventuno operazioni che avevo dovuto affrontare. In un mondo saturo di immagini di modelle e attrici impeccabilmente modificate con Photoshop, era una sfida ardua convincermi che le mie imperfezioni fisiche fossero belle da guardare.

Nascondere le mie cicatrici mi sembrava la cosa più naturale. In questo modo nessuno avrebbe potuto vedere quanto fossi imperfetta. In questo modo sarei potuta sembrare più normale. In questo modo non sarei stata umiliata. Le mie cicatrici erano semplicemente dei promemoria in rilievo del mio dolore.

Detestavo andare in piscina, in spiaggia o in qualsiasi altro luogo in cui le mie gambe potessero essere in vista. Anche se nessuno poi finiva effettivamente per notarle, immaginavo ugualmente che chiunque le guardasse con un certo disgusto. Ero ormai del tutto certa che se le persone avessero scoperto la “mia vera personalità”, non avrebbero mai potuto accettarmi. La convinzione che le mie cicatrici mi rendessero orribile mi aveva completamente condizionata.

Quando le cicatrici parlano

Per un breve tempo, un mio caro amico delle superiori mi convinse a mostrare le gambe in spiaggia. Cercò di persuadermi che quei segni sul mio corpo, ritenuti da me così terribili, avrebbero potuto essere interpretati dagli altri come simboli di forza e coraggio: a tutti gli altri avrebbero testimoniato ciò che avevo dovuto sopportare anche soltanto per reggermi in piedi e provare a camminare; sarebbero stati parte di ciò che avevo dovuto affrontare. E per un po’ ho mostrato le mie gambe, ma lentamente sono tornata a coprirle. Onestamente mi sembrava che in questo modo fosse tutto più facile. Sono poi tornata a credere alle bugie che mi ero raccontata: avrei potuto dimostrare più valore se nessuno avesse visto le mie cicatrici. Ho nascosto i segni delle ferite e mi sono sentita a mio agio agendo in questo modo per decenni. Un giorno, però, ho notato questo versetto nel Vangelo di Giovanni:

“La sera di quello stesso giorno, che era il primo della settimana, mentre le porte del luogo dove si trovavano i discepoli erano chiuse per timore dei Giudei, Gesù venne e si presentò in mezzo a loro, e disse: «Pace a voi!». E detto questo mostrò loro le mani e il costato. I discepoli dunque,veduto il Signore, si rallegrarono” (20:19, 20).

I discepoli riconobbero Gesù nel momento stesso in cui videro le Sue cicatrici. E Tommaso avvertì addirittura la necessità di toccare quelle ferite per verificare che il Salvatore risorto fosse realmente davanti a lui. Gesù avrebbe potuto fare a meno di portare cicatrici sul Suo corpo risorto: esso sarebbe potuto essere perfetto, immacolato, illeso. Lui invece ha scelto di conservare i segni della Sua morte in modo che i discepoli potessero convalidare la Sua identità. E, cosa ancora più importante, potessero essere certi che Egli aveva vinto la morte.
Una delle canzoni scritte dal cantautore cristiano Michael Card, “Riconosciuto dalle cicatrici”, esprime questa verità in modo meraviglioso:

I segni della morte che Dio non ha mai scelto di cancellare
Le ferite della guerra eterna dell’amore
Quando il regno arriverà con il Suo perfetto Figlio
Egli sarà riconosciuto dalle Sue cicatrici

Il Signore ha scelto di non cancellare quei segni di morte, le ferite del Suo amore per noi, in modo che il nostro Salvatore possa essere sempre riconosciuto proprio grazie alle Sue cicatrici. Anziché essere delle imperfezioni fisiche, le cicatrici di Gesù sono incredibilmente indicative: rappresentano il Suo amore e la nostra salvezza.

I posti in cui sono stata guarita

Mentre consideravo queste verità, il mio cuore è stato profondamente toccato. Le mie cicatrici sono significative e preziose. Non avrei dovuto continuare a nasconderle. Esse mi caratterizzano, mi rendono unica. Sono parte integrante di ciò che sono. Mostrano che, attraverso Cristo, sono un conquistatore; mostrano che sicuramente ho sofferto, eppure con l’aiuto dello Spirito Santo, ho avuto la forza per vincere. Le cicatrici rappresentano più di quanto abbia mai immaginato. Possono essere addirittura meravigliose.

Un dizionario definisce cicatrice il “segno che rimane sulla pelle nel luogo di una ferita rimarginata”. In buona sostanza si tratta della traccia lasciata da una ferita guarita. Le mie cicatrici significano guarigione. E anche se le mie ferite fisiche sono guarite, esiste anche una guarigione più profonda che deriva dalla loro accettazione. Quei segni sul mio corpo mi ricordano che la grazia di Dio è per me sufficiente e che il nostro obiettivo sulla terra non è raggiungere la perfezione fisica: una vita vissuta alla gloria del Signore è, infatti, infinitamente più preziosa.

Ho notato maggiormente le mie cicatrici nel momento in cui ho cominciato a guardarmi intorno. C’era qualcosa di affascinante nelle persone che non rivelavano timore a essere sé stesse: autentiche, senza maschere e prive di vergogna nel mostrare ciò che aveva contribuito a modellarle. La loro vulnerabilità era magnetica. Ero attratta da loro. Desideravo imparare dalla loro auto-accettazione ed ascoltare le loro storie. Ammiravo il loro coraggio.

Ho imparato che chiedere alla gente riguardo alle proprie cicatrici è una prassi da cui non si può prescindere. Almeno finché lo si faccia con rispetto e amore. Parlare delle cicatrici serve a demistificarle e consente alle persone di condividere le esperienze che hanno contribuito a forgiarle. Perché tutte le cicatrici hanno una storia. Ho notato che quando mostriamo le nostre senza ostentazione, incoraggiamo gli altri a fare la stessa cosa.

Chi porta su di sé delle cicatrici dovrebbe indossarle come gioielli, preziosi ricordi di ciò che ha dovuto sopportare. Dobbiamo mostrare le nostre imperfezioni, le ferite che abbiamo subito. Lo definirei una forma di coraggio. E, forse, solamente così scopriremo tutta la bellezza nelle nostre sofferenze.


Estratto da “Le Ferite Che Mi Hanno Formata”
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