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Dignità: una caratteristica dimenticata?
Chi siamo e cosa diventiamo in Cristo

“Soltanto, conducetevi in modo degno del vangelo di Cristo …” (Filippesi 1:27).

La parola “soltanto” potrebbe trarre in inganno e farci pensare che si tratti di un’affermazione casuale, come: “Aspettatemi, ci metterò soltanto un minuto o due”. In realtà, però, non è così. Non c’è nulla di casuale.

Quando Paolo usa l’avverbio greco monon, sta dicendo “soltanto”, per sottolineare l’esclusività o la singolarità di ciò che sta affermando, indicandone l’unicità. Anche se non conoscete il greco, probabilmente potete intuirne il significato. In questo contesto, “soltanto” significa “una e unica”, ovvero che l’unica cosa necessaria è vivere in modo degno del Vangelo che professiamo. In altri termini, significa che questo è un requisito non negoziabile.

Eppure, oggi usiamo raramente, se non mai, questo linguaggio. Quando avete sentito per l’ultima volta la vita di un fratello in Cristo descritta come “degna del vangelo”? È probabile che la risposta sia “non molto spesso” o, più probabilmente, “mai”.

“Vivere in modo degno del vangelo di Cristo” non è tra le priorità della chiesa del XXI secolo. Ma Paolo l’ha messo al primo posto nella sua lista di priorità. Ecco perché lo sottolinea per le chiese di Efeso, Colosse e Tessalonica, oltre che per quella di Filippi. 

Il significato di “degno”

Che cosa implica dunque l’esortazione di Paolo: “Soltanto, il vostro stile di vita sia degno [axiós] del vangelo di Cristo”?

Nelle versioni inglesi del Nuovo Testamento, la parola greca axiós viene solitamente tradotta con “degno”. Tuttavia, il suo significato è espresso anche in altre traduzioni quando viene tradotto “in sintonia con” (Matteo 3:8; Atti 26:20). Come molte altre parole, anche la parola greca axiós ha un’origine figurata. Significa propriamente “porre sull’altro piatto della bilancia”, “portare in equilibrio”, e quindi “equivalente”. 

L’idea di base è che una vita degna del vangelo di Cristo esprime sotto forma di stile di vita ciò che il vangelo insegna sotto forma di messaggio. Tale vita riflette il carattere del Signore Gesù Cristo.

Da ragazzo, il mio compito mattutino prima di andare a scuola era quello di raccogliere alcune delle provviste di cui la nostra famiglia avrebbe avuto bisogno per i pasti della giornata. Uno di questi compiti era andare dal macellaio del paese. Mia madre mi incaricava di chiedere un determinato taglio di carne e un determinato peso. In quei tempi ormai lontani, il nostro macellaio usava bilance all’antica con due piatti. Su uno metteva i pesi in base alla quantità richiesta, mentre sull’altro li aggiungeva o sottraeva la carne finché la lancetta centrale non indicava un perfetto equilibrio tra i due piatti. È stato divertente vederlo aggiungere o sottrarre la carne per ottenere il giusto equilibrio. Semplice ma geniale!

Questa è l’idea alla base della parola axiós. Da un lato, ecco il Vangelo. E dall’altra parte, ecco la vostra vita. L’esortazione di Paolo è questa: vivete in modo che la vostra vita “abbia lo stesso peso” del Vangelo! Vivete in modo che la vostra vita sia “conforme” al Vangelo, che “corrisponda” al Vangelo. Questo è ciò che significa vivere una “vita cristiana equilibrata”. Il Vangelo è il messaggio della buona notizia di Gesù Cristo e la nostra vita deve incarnare questa buona notizia. In altre parole, il Vangelo è “la potenza di Dio per la salvezza” (Romani 1:16), e noi dobbiamo vivere in un modo che manifesti la potenza della salvezza!

Per Paolo non si trattava di una questione banale o facoltativa. Era invece una cosa “unica”, essenziale.

Un tipo di cittadinanza

Ma “degno” non è l’unica parola usata da Paolo per descrivere questo tipo di cittadinanza. Quando scrive “il vostro stile di vita sia degno del Vangelo”, usa il verbo greco politeuomai. Esso deriva da una parola che indica una città e, più precisamente, da una parola che indica la comunità politica (la polis). Letteralmente significa “vivere da cittadino” o “vivere da persona civile”.

Il verbo usato per “comportatevi” può essere tradotto con “conducetevi” (come nella Riveduta 2020) o “camminate”, come in Colossesi (“camminate in modo degno del Signore” — 1:10). Tuttavia, l’apostolo allude a uno stile di vita vero e proprio e, di fatto, usa un linguaggio che richiama le impli-cazioni riguardanti i requisiti propri di un cittadino romano. Filippi, infatti, era una colonia romana e la sua vita civile era strutturata secondo la legge romana e lo stile di vita romano. I cittadini di Filippi erano cittadini romani a tutti gli effetti. Ecco perché i magistrati locali si erano allarmati tanto quando ave-vano scoperto che l’uomo a cui avevano strappato le vesti e che avevano picchiato con le verghe senza un regolare processo e poi gettato in prigione era in realtà un cittadino romano. Non c’è da stupirsi che siano venuti da Paolo con la cenere sul capo, prodigandosi in scuse (Atti 16:22, 23, 37-40).

Paolo potrebbe semplicemente aver detto in Filippesi 1:27: “Seppure cittadini di Filippi, vivete la vostra vita in modo da riflettere il Vangelo”. Ma quasi certamente c’è dell’altro. Lidia, che per prima lo aveva accolto, era ancora lì? C’erano sicuramente il carceriere e la sua famiglia che Paolo aveva con-dotto a Cristo e battezzato in acqua. E forse c’era anche la giovane schiava che Paolo aveva salvato da uomini e spiriti violenti. Paolo stava ricordando loro: “La nostra cittadinanza è nei cieli” (Filippesi 3:20).

Filippi si trovava in Macedonia, non in Italia. Tuttavia, un filippese viveva lì come un cittadino romano, secondo la legge romana, seguendo i modelli di vita della capitale. Il messaggio di Paolo, quindi, era che, mentre i suoi fratelli cristiani vivevano a Filippi, la loro vera cittadinanza era celeste; la loro famiglia di credenti era una colonia del cielo qui sulla terra. Poiché questo era vero, non dovevano vivere secondo il modello di vita di una qualsiasi città terrena, ma secondo il modello di vita della città celeste, la nuova Gerusalemme.

In breve, la vita cristiana deve essere una versione del “paradiso in terra”. Non potrebbe esserci privilegio più grande e standard più alto!  Per questo motivo, l’invito non potrebbe essere più esigente: niente di meno che un invito totale. Eppure, nonostante tutto, l’esortazione di Paolo è lontana un m-lione di miglia dal legalismo, perché capisce come funziona il Vangelo.

La grazia di Dio in Cristo ci fornisce una nuova identità, una identità celeste, e ne consegue che è questa, e non la nostra identità naturale, a determinare tutto ciò che facciamo. La nostra identità, la nostra cittadinanza, è celeste. Come dice Paolo altrove, la nostra vita è “nascosta con Cristo in Dio” (Colos-sesi 3:3) e, quando Cristo apparirà, la nostra trasformazione finale a sua somiglianza renderà chiara la nostra vera identità (Filippesi 3:20, 21; Colossesi 3:4; I Giovanni 3:1, 2).

Non c’è nulla di più logico e convincente, dunque, che vivere in questo mondo come cittadini di un altro mondo? Come Daniele nell’Antico Testamento, siamo chiamati a vivere secondo lo stile di vita della Gerusalemme celeste (in alto), anche quando viviamo nella Babilonia terrena (in basso), a cui in realtà non apparteniamo.

Perciò dobbiamo “cantare i canti del Signore in terra straniera” (Salmo 137:4). Non si tratta di legalismo, perché “i suoi comandamenti non sono gravosi” (I Giovanni 5:3). Gesù ci dice che essere legati a Lui, il mite e l’umile, porta benessere, non malessere, e riposo, non inquietudine, alle nostre anime (Matteo 11:28-30).


Una curiosa differenza

Da scozzese che vive negli Stati Uniti, amavo salire sugli ascensori degli edifici più alti, fermarmi piano per piano e scambiare occasionalmente commenti con gli altri passeggeri. Poiché il mio accento tendeva a tradirmi, a volte, mentre uscivo, qualcuno mi chiedeva: “E tu da dove vieni?”. Quando uscivo dall’ascensore e le porte iniziavano a chiudersi, mi piaceva sempre dire con un sorriso alle tre o quattro persone rimaste all’interno: “Columbia, South Carolina”. Gli sguardi perplessi sui loro volti mentre le porte si chiudevano dicevano: “Non puoi essere di queste parti con un accento del genere! Da dove vieni veramente?”. Anche se vivevo lì, era evidente che in realtà “appartenevo” a un altro posto.

Questo è il tipo di cose di cui parla Paolo in Filippesi 1:27. I suoi amici cristiani potevano anche vivere nella colonia romana di Filippi, ma la loro vera cittadinanza era il regno di Dio; dovevano vivere se-condo questo stile di vita, pensando al Sermone sul Monte. E se lo facessero, le persone di Filippi si troverebbero a chiedersi: “Da dove vieni veramente? C’è qualcosa in te - non riesco a definirlo bene - ma è diverso. Non sei proprio di queste parti”.

A volte mi chiedevo cosa accadesse in ascensore dopo la chiusura delle porte. Le persone si sono scambiate delle opinioni? Hanno cercato di capire da dove venivo? Se li avessi incontrati di nuovo in ascensore, si sarebbero ricordati di me e mi avrebbero chiesto: “Di dove sei veramente? Mi piace il tuo accento, sei inglese?” (Aiuto! Invece mi hanno presentato come “proveniente dalla Scozia, Inghilterra”!) Questa è una parabola di ciò che accadeva nella Chiesa dei primi secoli.

Una situazione che contrasta con la Chiesa di oggi. Come una sorta di tattica per la testimonianza, i cristiani di oggi sono stati spesso incoraggiati a ideare domande da porre ai non cristiani. Questo può forse si può stimolare una conversazione sul Vangelo. Tuttavia, è raro che ci colpisca il netto contrasto con l’insegnamento del Nuovo Testamento. Simon Pietro suggerisce che si aspettava il contrario: credeva che la qualità della vita dei cristiani avrebbe fatto sì che fossero i non cristiani a porre le domande (I Pietro 3:15): “Che cosa ti fa spiccare?”. “Cosa c’è in te? Perché dici queste cose e fai queste cose?”. “Dimmi perché credi in Dio”, “Chi è Gesù Cristo?”. “Posso essere perdonato?”, “Che cosa significa essere un cristiano?”. 

Perché le domande che poniamo durante le conversazioni evangelistiche di oggi sono così diverse da quelle che Pietro si sarebbe aspettato? C’è qualcosa di così ovvio che raramente lo notiamo: il Nuovo Testamento non fornisce praticamente alcun consiglio su come testimoniare Gesù Cristo. Eppure, chi può mettere in dubbio l’impatto della testimonianza della Chiesa primitiva – il tutto, a quanto pare, senza libri, DVD, programmi televisivi, Internet o intere organizzazioni e seminari guidati da esperti. Che cosa spiega questa differenza? Perché in Occidente abbiamo bisogno di escogitare tecniche per testimoniare Cristo? Forse la risposta più semplice è che non abbiamo vissuto in modo degno del Vangelo di Cristo. Abbiamo vissuto in modo troppo poco conforme allo stile di vita, all’atmosfera e all’accento del cielo, dove si trova Cristo.

C. S. Lewis ha un passaggio molto interessante in cui commenta la pigrizia di alcuni studenti che, invece di capire e imparare come usare una prova in geometria, la imparano soltanto a memoria.  Non si rendono conto che la via più facile si rivela quella più difficile, richiede molto più lavoro e, alla fine, non funziona. Gli insegnanti a volte se ne accorgono. Ricordo con piacere l’esame orale di un dottorando. Aveva già sostenuto con successo sedici ore di prove scritte. Eppure, sembrava incapace di rispondere alle nostre domande. Alla fine di un esame ripetuto, un collega perplesso (e, come tutti noi, leggermente esasperato) gli disse: “Hai fatto bene nella parte scritta, ma hai fatto malissimo nella parte orale. Come ti sei preparato per questi esami?”. La sua risposta? “Ho imparato a memoria gli articoli del dizionario” – in effetti, ne aveva memorizzati un centinaio! Sono sicuro che anche gli altri, come me, pensavano: “Sarebbe stato più facile se ti fossi semplicemente impegnato a capire il materiale!”.

Vivere “in modo degno del Vangelo di Cristo” non è una questione di tecniche. Comporta lo sviluppo del carattere cristiano. Si tratta di chi e cosa diventiamo in Cristo. È un processo lento, impegnativo e faticoso. L’opzione più facile e veloce sembra essere quella di imparare a combinare la propria vita e a fare le cose con successo. Ma vivere degnamente è molto più una questione di vivere la vita del mondo celeste mentre si è ancora su questa terra, significa diventare qualcuno che sa cosa significa “glorificare Dio e goderlo per sempre”.






Cos'è davvero l'umiltà
La gioia di dimenticare sé stessi

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