La causa principale delle molteplici differenze presenti nel cristianesimo è rintracciabile nel diverso rapporto con la Scrittura. Per gli evangelici, l'elenco dei testi contenuti nella Bibbia, cioè del canone biblico, si compone di sessantasei libri tra Antico e Nuovo Testamento frutto della rivelazione di Dio agli uomini.
Soltanto la Scrittura può essere considerata come l’autorità per stabilire la dottrina e l’etica cristiana.
Il cattolicesimo riconosce i testi del canone biblico evangelico, ma a questo aggiunge la tradizione, scritta e orale, i decreti dei diversi concili formulati nei secoli dalla Chiesa e gli aggiornamenti dottrinali delle encicliche papali. Purtroppo, questa scelta sminuisce la perfetta attualità della Parola di Dio, aggiungendo altri dati alla rivelazione divina o, in certi casi, togliendo porzioni delle Scritture (cfr. 1P 1:23-25).
LA RIVELAZIONE DIVINA
II Pietro 1:16-21; Giovanni 20:30, 31
La Bibbia dichiara la propria piena ispirazione divina (2P 1:16-21; Gv 16:13-15).
Ispirata e completa
La Chiesa cattolica romana accetta l’ispirazione dello Spirito Santo con un grado minore, affermando: “Le Sacre Scritture contengono la Parola di Dio e, perché ispirate, sono veramente Parola di Dio” (Catechismo della Chiesa Cattolica, 135). Accanto alla raccolta dei testi biblici, però, sono poste testimonianze esterne perché la Chiesa cattolica ritiene che la Bibbia non contenga tutto ciò che Gesù e gli apostoli hanno insegnato. Effettivamente la stessa Scrittura conferma questa idea (Gv 20:30): non sono riportati tutti i fatti della vita e dei prodigi di Cristo, ma ciò non può costituire un pretesto per aggiungere concetti e pratiche (Mt 15:1-8; Cl 2:8; Ap 22:18, 19), a volte contrarie a quanto scritto (1Co 4:6). Quanto contenuto nei libri ispirati include perfettamente tutti gli insegnamenti necessari alla salvezza o utili allo sviluppo della fede cristiana (Gv 20:31); quanto serve a rendere completa la vita in Cristo (2Ti 3:16, 17).
L'autorità indiscutibile della Chiesa Cattolica
“La trasmissione della rivelazione data con gli apostoli, continua fino alla fine dei tempi attraverso la successione apostolica, ovvero con i vescovi ai quali è affidato il compito di magistero apostolico. Questa trasmissione è chiamata Tradizione, in quanto distinta dalla Sacra Scrittura, sebbene a essa strettamente legata”.
“L’ufficio di interpretare autenticamente la Parola di Dio scritta o trasmessa è stato affidato al solo Magistero vivente della Chiesa, la cui autorità è esercitata nel nome di Gesù Cristo, cioè ai vescovi in comunione con il successore di Pietro, il vescovo di Roma”.
Una posizione simile è smentita dalla Bibbia (De 31:11, 12; Sl 1:2; 1Gv 2:20) e dall’atteggiamento dell’apostolo Paolo che loda i credenti di Berea, attenti a esaminare le Scritture, verificando se quanto insegnato corrispondesse alle profezie messianiche (At 17:11; cfr. Is 8:20). Dunque, se l’insegnamento di un apostolo al quale il Signore si rivelò direttamente, era subordinato alle Scritture ispirate, altrettanto deve esserlo la dottrina della Chiesa di ogni tempo, poiché questa sostiene la verità, ma non ne è depositaria: la Parola è verità (1Ti 3:14, 15).
Diversamente, il cattolicesimo riconosce l’apostolo Pietro come “pietra di fondamento” della Chiesa e vi fonda il dogma dell’infallibilità papale, ossia che, quando il Papa aggiorna la dottrina cristiana, come successore di Pietro e vicario di Cristo, non può errare (cfr. Ef 2:20). Si tratta, però, di una posizione che distorce il concetto di ispirazione divina che biblicamente è riferito non agli scrittori, bensì agli scritti sacri (2Ti 3:16). Sancito soltanto nel 1870, invece, il dogma attribuisce l’ispirazione divina all’uomo e non sono mancate opposizioni nello stesso mondo cattolico.
QUALE BIBBIA?
Atti 1:1, 2; II Pietro 3:2; 3:15, 16
Le differenze dottrinali fra evangelici e cattolici scaturiscono, come accennato, anche da due canoni biblici diversi. Nella sana dottrina biblica non c’è spazio per testi che incoraggiano interpretazioni personali e tendenziose, né per superstizioni. Gli apostoli hanno bollato simili scritti come “favole”, cioè prodotti della fantasia umana e non della rivelazione divina (1Ti 1:4; 2P 1:16).
Il Canone biblico
Unitamente alle altre Scritture, gli unici testi che hanno autorità per istruire la Chiesa sono le lettere apostoliche (At 1:1, 2; 1Co 14:37), testi ispirati dallo Spirito Santo che ha dichiarato così le verità della fede da trasmettere “una volta per sempre” (Lu 1:1-3; 2P 3:2; Gd 3).
Oggi parte del Nuovo Testamento, le epistole erano in origine lette nelle riunioni di culto (Cl 4:16; 1Te 5:27) e la loro autorità era uguale a quella delle Scritture veterotestamentarie (2Te 2:15; 2P 3:2).
L’apostolo Paolo accomuna quale “Scrittura” una prima citazione di Mosè (De 19:15) e una seconda di Luca (Lu 10:7) quando afferma: “Poiché la Scrittura dice: «Non mettere la museruola al bue che trebbia»; e «L’operaio è degno del suo salario»” (1Ti 5:18). L’apostolo Pietro affianca le lettere di Paolo alle altre Scritture affermando che già circolavano tra le chiese come una collezione di libri ritenuti ispirati da Dio (2P 3:15, 16).
Gli scritti ispirati si accreditarono da sé, per un’autorità intrinseca e via via assunsero carattere normativo generale. Principio base nel costituire il Canone fu il largo riconoscimento spontaneo anziché l’imposizione dall’alto. Così, mediante un processo di raccolta, senza che le chiese si riunissero ogni volta per deliberare, si andò formando la Regola di fede neotestamentaria, stabilizzandosi nella seconda metà del II secolo nel Canone ufficiale dei 27 libri ispirati da Dio.
I libri deuterocanonici
Nel Concilio di Trento del 1546, al Canone ebraico (l’Antico Testamento), la Chiesa cattolica romana ha aggiunto sette testi, senza precise segnalazioni di un loro minore grado normativo. I libri di Tobia, Giuditta, I e II Maccabei, Sapienza, Siracide, Baruc, definiti “Deuterocanonici”, cioè “aggiunti ai canonici”, riportano episodi leggendari e affermazioni discordanti dalla Bibbia ma che sono entrati comunque a far parte della dottrina cattolica.
Ad esempio, il libro di Tobia (4:10; 12:9; 14:10-11) fa dipendere la salvezza dalle elemosine meritorie; il culto e la preghiera per i defunti si basano su II Maccabei (12:40-46) e Baruc (3:4), affermando in Siracide o Ecclesiastico (3:30) che le elemosine espiano i peccati. Se il libro di Giuditta (9:10-13) pone Dio quale complice di subdole lusinghe, quello della Sapienza (11:17) insegna che la creazione del mondo fu fatta dalla materia preesistente.
Una simile scelta è stata giustificata dalla Chiesa cattolica con l’ipotesi dell’esistenza di due Canoni dell’Antico Patto: uno “Breve”, fatto di trentanove libri per gli ebrei della Palestina, e un “Canone Lungo”, che prevedeva l’aggiunta dei sette testi deuterocanonici, per gli ebrei della diaspora. Gesù e gli apostoli, però, non fanno mai riferimento a questi libri, né alcuno scrittore del Nuovo Testamento.
Alla fine del IV secolo, nella sua versione della Bibbia (“Vulgata”) Girolamo li collocò in fondo, precisando che questi 7 libri potevano essere utili per la lettura, ma non per stabilire delle dottrine. Martin Lutero e gli altri riformatori del XVI secolo hanno escluso dalle loro traduzioni della Bibbia i libri Deuterocanonici definendoli “Apocrifi” ovvero di significato oscuro, celato.
I “PADRI DELLA CHIESA”
Colossesi 2:4-8; Romani 10:17; I Timoteo 4:6
Se un testo non è ispirato da Dio per opera dello Spirito Santo, non può essere preso come riferimento dottrinale. Gli antichi testi del pensiero cristiano, quindi, per la ricchezza di dati storici e riflessioni autorevoli sono da considerarsi unicamente come “fonti letterarie”, non come base per quelle manipolazioni dottrinali e pratiche liturgiche che non hanno basi bibliche.
La letteratura patristica
La testimonianza dei discepoli degli apostoli, di quanti avevano ricevuto l’evangelo da loro o da altri testimoni oculari della vita di Gesù caratterizza l’era subapostolica, successiva cioè al periodo apostolico. Redatti all’incirca dal 100 al 160, i testi di quest’epoca sono sermoni devozionali con lo scopo di esortare i credenti a perseverare nella salvezza con una condotta irreprensibile in vista del ritorno di Cristo.
Per quanto edificanti, gli scritti dei padri della chiesa non possono essere parte del fondamento dottrinale perché si rifanno anche a fonti letterarie rifiutate come apocrife. Eppure, il cattolicesimo utilizza i testi della patristica, estrapolandone qualche passo dall’originario contesto storico e concettuale per avallare le proprie posizioni.
Per fare un esempio, presentiamo un estratto della Didaché (Insegnamento), testo anonimo in greco, riguardo alle difficoltà nel praticare il battesimo: “Se non hai acqua viva, battezza in altra acqua; se non puoi nella fredda, nella calda. Se non avessi né l’una né l’altra, versa per tre volte sul capo l’acqua nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo” (VII 2, 3). Forzando il passo, ecco giustificata la pratica cattolica di battezzare regolarmente per infusione.
Un’altra pratica, quella della “successione apostolica”, viene motivata con un testo di Clemente Romano (+ 100 circa), vescovo della comunità di Roma, che scrive: “I nostri apostoli conoscevano da parte del Signore Gesù Cristo che ci sarebbe stata contesa sulla carica episcopale. Per questo motivo, prevedendo esattamente l’avvenire, istituirono quelli che abbiamo detto prima e poi diedero ordine che alla loro morte succedessero nel ministero altri uomini provati” (XLIV 1, 2).
Lo scopo di Clemente era esortare i credenti di Corinto a evitare i conflitti interni, accettando l’autorità degli anziani istituiti dagli apostoli, a loro volta stabiliti dal Signore. La Chiesa cattolica, invece, trova in queste parole la prova della dottrina secondo cui da Pietro in poi, i vescovi sono successori degli apostoli e hanno a loro volta il compito di scegliere il proprio successore.
Letteratura apologetica
La stessa autorità in materia di fede è stata riconosciuta ai “Padri apologeti” (difensori della fede), vissuti nei secoli (II-IV) delle persecuzioni contro i cristiani.
Nel tentativo di rendere razionalmente plausibile la fede in Cristo dinanzi alla società pagana e alle autorità imperiali, questi scrittori caddero in errori dottrinali. Usarono la tarda filosofia greca per esporre le dottrine evangeliche interpretando la Parola di Dio; alcuni pensarono addirittura che il cristianesimo fosse il compimento perfetto della ricerca filosofica greca. Da qui l’uso, in ambito cattolico romano, di poggiarsi sui filosofi greci nella costruzione della teologia.
Al contrario, le esortazioni bibliche richiamano a non effettuare commistioni con la sapienza umana che adulterano i contenuti e gli scopi del messaggio cristiano (1Co 2:1-5; Cl 2:4-8).
“Non aggiungere né togliere”
Se è pericoloso usare scritti non ispirati per la dottrina, ancor più grave è intervenire direttamente sulla Parola di Dio, come è accaduto con la scelta di modificare il secondo comandamento. Agostino d’Ippona (III secolo), uno dei “padri della chiesa”, ha contratto il primo e il secondo comandamento in uno solo, togliendo il divieto di adorare immagini (Es 20:4, 5a).
Il terzo comandamento biblico “Non usare il nome dell’Eterno tuo Dio, invano …” è divenuto il se-condo comandamento nel catechismo cattolico e così via. Per mantenere invariato il numero, Agostino ha suddiviso in due comandamenti il decimo, scindendo la parte relativa alla casa e alla moglie del prossimo da quella riguardante le proprietà del prossimo.
La Chiesa cattolica sostiene che il divieto mosaico relativo alle immagini fu necessario al tempo dell’antico Israele, circondato da popoli idolatri, ma non si deve applicare al giorno d’oggi.
In altre parole, esso vale per le rappresentazioni pagane, ma non per quelle “cristiane” , che anzi costi-tuirebbero un valido ausilio al culto esterno. La Bibbia, però, afferma che la fede nasce esclusivamente dell’esposizione della sola Parola (Ro 10:17; Cl 3:16; 1Ti 4:6).
Le immagini entrarono nelle chiese per uso ornamentale alla fine del III secolo, introdotte per l’influenza del paganesimo dovuta alla “cristianizzazione” coatta, cioè priva di conversioni personali, di intere province dopo che il cristianesimo divenne la religione ufficiale dell’Impero Romano.
Nel V secolo furono usate per istruire gli analfabeti e in seguito venerate come sacre. Nei Concili ecclesiali saranno sia proibite, come a Costantinopoli (754), sia legittimate, come a Nicea (787).
Ad ogni modo, nel Nuovo Testamento non vi è alcun esempio di cristiani che usano immagini per rivolgersi a Dio; anzi, tale pratica, chiamata “idolatria”, è tacciata come una deviazione da non intraprendere in alcuna forma o misura (1Co 10:14; 1P 4:3; 1Gv 5:20, 21).
Conclusioni
La differente concezione della Parola di Dio e della sua autorità costituisce la madre di tutte le “varianti”, come appaiono all’occhio di chi non è addentrato nella materia religiosa, tra il cristianesimo evangelico e quello cattolico.
Nei secoli, le autorità cattoliche hanno più volte proibito la lettura della Bibbia. Oggi la regola generale è la pubblicazione di essa con note, così che le Scritture siano interpretate secondo il magistero della Chiesa. Soprattutto da ciò dipende il diverso approccio esegetico ai testi tra evangelici e cattolici, segnando una frattura insanabile in ogni campo della fede: teologico, liturgico ed etico.
Esplora l'unicità evangelica
In questo manuale studierai:
- L’importanza della dottrina biblica
- L’ecumenismo
- La comunione con altre chiese
- Cristianesimo cattolico ed evangelico
- Il culto cattolico romano
- Il battesimo con rito cattolico
- Comunione e Cresima
- Il culto dei morti
- Le feste cattoliche
- La Chiesa e Israele
- Il giudeo-cristianesimo
- La massoneria
- Le pratiche orientali