Negli ultimi dieci anni, ho visto crescere la necessità di un messaggio come quello contenuto in questo libro. Anziché attenuarsi, la tendenza a “professionalizzare” il ministerio pastorale si è trasformata e rafforzata. Tra i giovani pastori si parla meno di approcci terapeutici o gestionali come in passato, e più di comunicazione e contestualizzazione del messaggio.
Anche se raramente si utilizza il termine “professionalizzazione” in questi ambiti, molti pastori avvertono una pressione silenziosa: essere all’altezza dei professionisti dei media e che appaiono con sempre maggior frequenza sui social, in particolare quelli più “cool”, gli antieroi sofisticati e i comici più sottili.
Cos'è questo professionismo?
Non si tratta della professionalità esibita con giacca e cravatta e con un tono formale e distaccato, ma di quella più sottile, fatta di outfit alla moda, linguaggio raffinato e appartenenza a cerchie ristrette e più di tendenza. È una professionalità che non si impara conseguendo un master, ma vivendo immersi nel mondo dell’intrattenimento e dei media, sempre mutevole. È la professionalizzazione dell’ambiente, del tono, del linguaggio, del tempismo e della battuta pronta. È più intuitiva che insegnata. Più stile che tecnica. Più percezione che metodo. Più sensazione che contenuto.
Ma se questo può essere definito “professionismo”, che cosa ha in comune con la versione più tradizionale? Tutto ciò che conta.
Possono esistere una preghiera professionale, una fiducia professionale nelle promesse di Dio, un pianto professionale per le anime, una riflessione professionale sulle profondità della rivelazione biblica? Una gioia professionale nella verità? Una lode professionale del nome di Dio? Una valorizzazione professionale delle ricchezze di Cristo? Un cammino professionale secondo lo Spirito? Un esercizio professionale dei doni spirituali? Si può affrontare professionalmente un combattimento contro i demoni, o supplicare un apostata? Si può essere professionalmente perseveranti in un matrimonio difficile? Si può giocare con i figli, affrontare la persecuzione o esercitare pazienza con tutti… in modo professionale?
Questo è soltanto l’inizio.
Cosa mettiamo davvero al centro?
Le attività appena elencate non sono marginali nella vita di un pastore. Sono centrali. Ne costituiscono l’essenza. Ecco perché la parola “professionale” stona così tanto in questi ambiti: perché essa evoca un’istruzione, un insieme di competenze e standard stabiliti da un sistema, che possono essere esercitati anche senza alcuna fede in Gesù. Il professionismo non è soprannaturale, ma un autentico ministerio lo è.
Il ministerio diventa “professionale” soltanto nelle aree di competenza dove si sovrappongono la vita di fede e quella dell’incredulità. Questo comporta due conseguenze. Primo: quell’area di sovrapposizione non può mai essere centrale. Perciò, la professionalità dovrebbe essere sempre marginale, non fondamentale; opzionale, non imprescindibile. Secondo: quanto più si persegue la professionalità, tanto più si relega il fattore soprannaturale del ministerio in un angolo, fino a trasformarlo in un insieme di abilità mondane mascherate da religiosità.
Mentre scrivo, mi trovo a dieci mesi dalla conclusione del mio ministerio come pastore presso la chiesa che ormai curo da anni. Se il Signore mi darà grazia di arrivare fino a quel momento, avrò servito questa comunità per quasi trentatré anni. Oggi sento la convinzione che anima questo libro con la stessa intensità di sempre. Quando mi guardo indietro, non rimpiango di non essere stato più “professionale”, ma di non essere stato più uomo di preghiera, più appassionato per le anime, più costante nella testimonianza personale, più emotivamente coinvolto con i miei figli, più tenero con mia moglie, più spontaneo nell’affermare il bene negli altri. Questi sono i miei veri rimpianti.
Fratelli, non siamo professionisti
Il predicatore ... non è un professionista;
il suo ministerio non è una professione;
è una divina istituzione,
una divina devozione.
E. M. Bounds
La professionalizzazione del ministerio pastorale sta uccidendo i pastori, uomini di Dio come me e come voi. La mentalità del professionista non è quella del profeta. Non è quella di un servitore di Cristo. Il professionismo non ha nulla a che vedere con l’essenza e il cuore del ministerio cristiano. Più desideriamo essere professionali, più lunga sarà la scia di morte spirituale che ci lasceremo dietro. Non esiste una fanciullezza professionale (Matteo 18:3), né una benevolenza professionale (Efesini 4:32), né tantomeno un anelito professionale verso Dio (Salmo 42:1).
Il nostro primo compito è desiderare ardentemente Dio nella preghiera. È piangere per i nostri peccati (Giacomo 4:9). Esiste forse un pianto professionale?
Il nostro compito è proseguire verso la santità di Cristo, tendendo al premio della suprema chiamata di Dio (Filippesi 3:14); è trattare duramente il nostro corpo e ridurlo in schiavitù, per non essere trovati indegni (I Corinzi 9:27); è rinnegare noi stessi e prendere ogni giorno la croce insanguinata (Luca 9:23). Come si porta una croce in modo professionale? Siamo stati crocifissi con Cristo, e ora viviamo per fede nel Figlio di Dio, che ci ha amati e ha dato sé stesso per noi (Galati 2:20). Esiste forse una fede professionale?
Non dobbiamo essere pieni di vino, ma dello Spirito Santo (Efesini 5:18). Siamo amanti di Cristo, rapiti da Dio. Ma come si può essere “ebbri” di Gesù in modo professionale? E poi — meraviglia delle meraviglie — ci è stato affidato il tesoro dell’evangelo da portare in vasi d’argilla, affinché la potenza straordinaria sia di Dio e non da noi (II Corinzi 4:7). Esiste forse un modo professionale per essere un vaso d’argilla?
Morte, vita e pazzia
Siamo afflitti in ogni maniera, ma non schiacciati; perplessi, ma non disperati; perseguitati, ma non abbandonati; colpiti, ma non distrutti; portando sempre nel corpo la morte di Gesù (in modo professionale?), perché anche la vita di Gesù si manifesti (professionalmente?) nel nostro corpo (II Corinzi 4:9–11).
Penso che Dio abbia esposto noi predicatori come ultimi fra tutti. Noi siamo pazzi per amore di Cristo, ma i professionisti sono saggi. Noi siamo deboli, i professionisti sono forti. I professionisti sono onorati, noi siamo disprezzati. Non cerchiamo uno stile di vita professionale: siamo pronti ad aver fame e sete, a essere nudi e senza fissa dimora. Oltraggiati, benediciamo; perseguitati, sopportiamo; calunniati, rispondiamo con mitezza. Siamo diventati come la spazzatura del mondo, come il rifiuto di tutti (I Corinzi 4:9-13).
Fratelli, non siamo professionisti! Siamo reietti. Siamo stranieri e pellegrini in questo mondo (I Pietro 2:11). La nostra cittadinanza è nei cieli, e da lì aspettiamo il nostro Salvatore con viva speranza (Filippesi 3:20). Non si può professionalizzare l’amore per la Sua venuta senza spegnerlo. E infatti l’amore dei più sta venendo meno.
Gli scopi del nostro ministerio sono eterni e spirituali. Non sono condivisi da alcuna altra professione. È proprio la mancanza di questa consapevolezza che ci sta facendo morire.
Il predicatore che dà vita è un uomo di Dio, il cui cuore è sempre assetato di Dio, la cui anima corre dietro a Lui con forza, il cui sguardo è rivolto soltanto a Lui. In lui, per mezzo dello Spirito di Dio, la carne e il mondo sono stati crocifissi, e il suo ministerio scorre come la pie-na generosa di un fiume che dà vita.
Non facciamo parte di una squadra sociale che condivide i propri obiettivi con altri professionisti. I nostri obiettivi sono scandalosi; sono pazzia (I Corinzi 1:23). Il professionismo è una minaccia costante alla pazzia dell’evangelo. È una minaccia alla natura profondamente spirituale del nostro servizio. L’ho visto accadere più volte: l’amore per la professionalità — l’aspirazione a una parità con i professionisti del mondo — uccide la convinzione che un uomo sia stato mandato da Dio per salvare anime dall’inferno e renderle pellegrini spirituali che glorificano Cristo in questo mondo.
Il mondo detta l’agenda del professionista; Dio stabilisce quella dell’uomo spirituale. Il vino nuovo di Gesù Cristo fa esplodere gli otri del professionismo. C’è una differenza infinita tra il pastore il cui cuore è orientato verso il professionismo e il pastore il cui cuore è consacrato a essere il profumo di Cristo: odore di morte per alcuni e fragranza di vita eterna per altri (II Corinzi 2:15, 16).
Liberi dal professionismo
Dio, liberaci da “quell’atteggiamento basso, calcolatore, astuto e strategico che serpeggia in mezzo a noi”. Dio, donaci lacrime per i nostri peccati. Perdonaci per la nostra superficialità nella preghiera, per la nostra scarsa comprensione delle verità sante, per esserci accontentati mentre i nostri vicini perivano nei loro peccati, per la mancanza di passione e serietà nelle nostre conversazioni. Ridonaci la gioia fanciullesca della nostra salvezza. Sconvolgici con la santità e la potenza tremenda di Colui che può gettare anima e corpo nella Geenna (Matteo 10:28). Fa’ che ci aggrappiamo con timore e tremore alla croce, nostro albero della vita, carico di speranza e scandalo. Non darci nulla, assolutamente nulla, secondo il modo di vedere del mondo. Possa Cristo essere tutto in tutti (Colossesi 3:11).
Oh Dio, bandisci il professionismo dal nostro mezzo e metti al suo posto la preghiera appassionata, la povertà di spirito, la fame di Dio, uno studio rigoroso delle cose sante, una devozione ardente verso Gesù Cristo, una totale indifferenza per il guadagno materiale e un lavoro incessante per salvare i perduti, perfezionare i santi e glorificare il nostro sovrano Signore.
Umiliaci, oh Dio, sotto la tua potente mano e fa’ che ci rialziamo, non come professionisti, ma come testimoni e partecipi delle sofferenze di Cristo.
Sia questa la nostra preghiera nel Nome glorioso di Gesù. Amen.
Un appello accorato a un ministerio radicale
In un’epoca in cui la chiesa rischia di conformarsi a logiche aziendali e modelli di successo terreno, John Piper ci ricorda con fermezza che il ministero cristiano non è un mestiere, ma una vocazione.
Con la sua caratteristica profondità biblica e la passione per il Vangelo, Piper esorta pastori, leader e credenti a riscoprire un servizio improntato all’umiltà, centrato su Cristo e ispirato dalla croce.
Questo libro scuote le coscienze, spingendo a respingere il "professionismo pastorale" per abbracciare una vita dedicata alla preghiera, al sacrificio e alla gioia autentica nel servire Dio.
Un’opera indispensabile per chi opera nella chiesa e per ogni cristiano che aspira a vivere una fede genuina e senza compromessi.
➡️ Ideale per: pastori, leader cristiani, studenti di teologia, credenti in cerca di autenticità.
➡️ Temi trattati: preghiera, predicazione, sacrificio, gioia nel ministero, centralità della croce.