Durante la Seconda guerra mondiale, la scrittrice Dorothy Sayers criticò il modo in cui la sua società considerava il lavoro. Notò che durante la guerra la gente in Inghilterra viveva in modo estremamente frugale e sacrificale, collaborando tutti come una squadra per lo sforzo bellico. Si rese conto che questa situazione contrastava con la mentalità del periodo precedente alla guerra, caratterizzata invece dal consumismo, dall’avidità e dall’ambizione egoistica. Guardando al futuro, al tempo in cui la guerra sarebbe finita, pose una sfida alla sua società:
Chiedo che [il lavoro] non sia più visto come una fatica necessaria da sopportare soltanto in vista di un profitto, ma come uno stile di vita in cui l’uomo possa esprimere la propria natura e trovare soddisfazione, così da realizzarsi per la gloria di Dio. Che sia, infatti, considerato come un’attività creativa intrapresa per amore del lavoro stesso; e che l’uomo, creato a immagine di Dio, crei le cose proprio come il Signore fa, mosso dal semplice desiderio di fare bene qualcosa che valga la pena di essere fatta.[1]
Sayers ha osservato come, in tempi di pace, la società spingeva le persone a concentrarsi sul lavoro per guadagnare denaro. Di conseguenza, coloro che facevano della professione finalizzata al guadagno il loro obiettivo principale diventavano ossessionati dallo spendere e dall’investire i capitali accumulati. Tuttavia, la guerra costrinse la società a cambiare rotta, spostando l’attenzione dal denaro all’impegno per il bene comune della collettività. Sebbene auspicasse la fine della guerra, Sayers non desiderava affatto un ritorno al materialismo che caratterizzava il periodo precedente al conflitto.
Anche noi possiamo trarre ispirazione dalla sua critica.
Anche nella nostra società, spesso riduciamo il lavoro a un mero strumento per guadagnare denaro, raggiungere un certo status sociale e garantire la nostra sicurezza personale. Il successo terreno è spesso misurato in base al raggiungimento di obiettivi materiali, ma i risultati che contano davvero sono quelli che portano a un certo guadagno. Per questo motivo diamo erroneamente più valore a certe professioni piuttosto che ad altre. Non consideriamo il nostro lavoro come un’opportunità per servire il prossimo o migliorare la società; ci concentriamo piuttosto sul suo vantaggio economico, con l’obiettivo di assicurarci un futuro stabile e un’abbondanza di risorse da consumare nel presente.
Vedo gli studenti, e anche i loro coetanei a dire la verità, costantemente lottare con concetti distorti su ciò che renda una professione di valore. Ad esempio, quando gli studenti mostrano interesse per una carriera meno remunerata di altre, come insegnare alle scuole primarie piuttosto che lavorare nel settore bancario, si trovano ad affrontare un senso di fallimento ingiustificato. Potrebbero pensare di non essere altrettanto competenti dei loro coetanei che guadagnano di più. Oppure, potrebbero sentire di aver optato per qualcosa di inferiore alle loro potenzialità. Anche i genitori contribuiscono a questo senso di inadeguatezza, perché esprimono la loro delusione quando il figlio o la figlia percepisce uno stipendio modesto o relativamente meno prestigioso. È comune sentirli dire: “Vuoi fare cosa?! Non ti ho mandato all’università per finire così!”.
Attualmente, sto assistendo una studentessa il cui sogno è lavorare per un’organizzazione nazionale no-profit che si dedica all’assistenza di persone con disabilità. Tuttavia, a causa della sua scelta continua a subire critiche da parte dei genitori e degli amici, convinti che lo stipendio previsto non sia abbastanza alto. Questa situazione la mette in difficoltà nel ricordare come il suo futuro lavoro si adatti così bene ai suoi talenti, alle sue esperienze passate e ai suoi interessi, e al contempo le permetterà di dedicare la sua vita al servizio degli altri, perché purtroppo chi la circonda la spinge a pensare al denaro e allo status sociale e a stimare queste cose più di ogni altra. Questa è soltanto una storia tra tante.
Nel progetto di Dio ogni professione ha valore
La Bibbia chiarisce che ogni professione è intrinsecamente dignitosa e buona agli occhi di Dio, correggendo così la nostra errata convinzione secondo cui soltanto il lavoro che porta a grandi guadagni o prestigio sia da stimare. In primo luogo, il racconto della creazione, presente nel libro della Genesi, insegna che il lavoro ha valore perché è stato concepito dal Signore come un modo essenziale per imitarlo e per glorificarlo, non per esaltare noi stessi. In questo racconto della Genesi, Dio ha creato il mondo dal nulla. Lo Spirito di Dio si è librato sul caos e ha dato forma alla terra vuota e informe. In seguito, Dio ha popolato la terra con ogni sorta di creatura. Mentre Dio operava, progettando la creazione in ogni suo dettaglio, dichiarava ripetutamente che la Sua opera era buona. Infine, al culmine della creazione, ha creato l’uomo e lo ha posto amorevolmente nel giardino dell’Eden, “perché lo lavorasse e lo custodisse” (vd. Genesi 2:15). Nel commentare questo brano, in particolare Genesi 1:26-28, il pastore John Piper scrive:
Dio ha creato l’uomo a Sua immagine e somiglianza affinché, attraverso le sue azioni, Egli possa essere visto, apprezzato e glorificato. Poi, [il Signore] ha affermato che l’attività principale dell’uomo è il lavoro: un compito mediante il quale sottomette e domina la terra. Questo implica che uno dei caratteri essenziali dell’essere umano sia il ruolo di sovrano sulla creazione, con il compito di dare forma, ordine e bellezza al mondo tali da riflettere la verità e la grandezza di Dio. In questo senso, Il Signore fa dell’uomo il suo vice, concedendogli diritti e poteri simili a quelli divini per sottomettere il mondo, usarlo e plasmarlo per nobili scopi e, soprattutto, per esaltare il Creatore.[2]
Mentre lavoriamo, attingiamo alle risorse già create da Dio, le materie prime del nostro mondo, e ne ricaviamo tutto ciò che serve per il benessere umano. Con il passare degli anni, non soltanto facciamo uso delle materie prime del nostro mondo, ma anche dei prodotti culturali ereditati dalle generazioni precedenti. Tali coltivazione e creatività si trovano in tutte le professioni, che si tratti di agricoltura, medicina, ingegneria, insegnamento, economia o pulizia. Tutti questi ambiti professionali condividono l’obiettivo di dare ordine, significato e struttura al mondo, a beneficio dell’intera umanità. Il lavoro, nelle sue molteplici forme, è un’opportunità per glorificare il Signore, poiché riflette la Sua opera nel mondo.
La gloria di Dio è manifesta in tutte le opere della Sua creazione (vd. Salmo 19:1, 2). Tuttavia, gli esseri umani hanno un ruolo unico nel glorificare il Signore attraverso il lavoro; infatti, siamo soggetti morali e possiamo prendere decisioni riguardo a ciò che facciamo. Ancora una volta, scrive Piper:
Nessun castoro, ape, colibrì o formica si rivolge consapevolmente a Dio. Nessun castoro contempla il disegno divino di armonia e bellezza e compie una scelta morale al fine di perseguire l’eccellenza perché Dio è eccellente. Nessun castoro si sofferma sulla saggezza e sulla volontà del Signore e decide, per amore verso Dio, di costruire una diga per un altro castoro piuttosto che per sé stesso. Al contrario, gli esseri umani possiedono tutte queste qualità, perché siamo creati a immagine di Dio. Quando il Signore ci affida il compito di sottomettere la terra, di plasmarla e di servircene, non ci sta chiedendo di comportarci come i castori. Intende esortarci ad agire da uomini, come individui dotati di consapevolezza morale e responsabilità, con l’intento deliberato di svolgere il nostro lavoro per la gloria del Creatore ... Pertanto, l’essenza del nostro lavoro come esseri umani deve essere improntata sulla fede consapevole nella potenza di Dio, sulla ricerca spontanea del modello di eccellenza delineato dal Signore e sull’obiettivo fortemente voluto di riflettere la gloria del Signore.[3]
Questo ci rivela che il modo in cui svolgiamo il nostro lavoro è tanto significativo quanto i risultati che otteniamo. Il lavoro diventa un’opportunità per glorificare Dio quando lo svolgiamo con l’intento di compiacerlo e onoralo.
Inoltre, è importante ricordare che il nostro lavoro va oltre ciò per cui veniamo remunerati. Le Scritture non circoscrivono mai il concetto di “lavoro” in questo modo. Per esempio, la donna forte e virtuosa, a cui è dedicata un’ampia descrizione nel libro dei Proverbi (vd. cap. 31), è elogiata per il suo impegno in molti ambiti della vita. Ella rappresenta un sano esempio; innanzitutto, perché il suo lavoro è radicato nel timore di Dio (vd. v. 30). È lodata anche per i suoi affari e i suoi investimenti immobiliari (vd. vv. 16, 24). Nella mentalità della nostra società, potremmo limitare il suo lavoro a queste attività, poiché vi è una ricompensa in termini economici. Tuttavia, il lavoro è arricchito da molte altre sfumature di significato, come il modo in cui si trascorrono le giornate quando non è il giorno del Signore.
Quindi, la donna del brano è altrettanto apprezzata come esempio di saggezza per la sua dedizione nella gestione della casa, nell’assistenza ai poveri e nell’istruzione dei suoi figli (vd. vv. 15, 20, 26). Ognuno di questi aspetti costituisce il suo lavoro, e sono tutti fondamentali. Ricordare questo concetto sarebbe di grande beneficio per chi lavora esclusivamente in casa, gestendo la propria famiglia con le sue molteplici esigenze, senza una ricompensa economica. Contribuirebbe a ridimensionare il divario tra il lavoro retribuito e quello volontario, il che a sua volta ci aiuterebbe a non dedicarci troppo all’uno a discapito dell’altro, consapevoli che entrambi sono legittimi e importanti.
Nell'esempio biblico ogni professione ha valore
Il racconto della creazione della Genesi offre un’ulteriore chiave di lettura che mostra la dignità di ogni tipo di professione.[4] Questa prospettiva rende il racconto della Genesi radicale nel suo insegnamento rispetto ad altre visioni del mondo e al loro concetto di lavoro. Mi spiego meglio. L’antico racconto babilonese della creazione, l’Enuma Elish, descrive il mondo come generato da un conflitto divino. L’umanità viene creata successivamente, in seguito a un ripensamento, con lo scopo di adorare gli dèi e lavorare per loro. In altre parole, il lavoro è fatica e gli dèi hanno bisogno di riposo; pertanto, entra in gioco l’umanità per supplire al lavoro gravoso che spettava alla divinità.
Inoltre, concezioni dualistiche del mondo, come quelle del pensiero greco e romano, pongono l’accento sul mondo delle idee a discapito di quello sensibile. Poiché il lavoro manuale è associato al regno fisico, lo considerano vile e, pertanto, da evitare. In tal senso, nella mitologia greca, quando il vaso di Pandora si apre e rilascia tutti i mali nel mondo, il lavoro figura tra questi. Allo stesso modo, i filosofi latini hanno ripetutamente affermato che soltanto gli schiavi devono occuparsi dei lavori manuali.
Consideriamo ora il ruolo di Dio nel racconto della creazione nella Genesi. Lo vediamo creare con un proposito e un disegno ben precisi, dichiarando buona la Sua opera. Notiamo che ha creato gli esseri umani con grande cura e li ha amorevolmente concepiti come l’apice della creazione, non come un ripensamento del racconto babilonese della creazione. Ogni forma di lavoro, incluso quello fisico, possiede dignità perché è Dio stesso che lo istituisce. Tendiamo a dimenticare che il primo uomo nelle Scritture a essere riempito dello Spirito di Dio fu un artigiano di nome Besaleel, incaricato di sovrintendere alla costruzione della tenda di convegno (vd. Esodo 31). Saremmo oggi in grado di riconoscerlo come una figura di valore? Nutro dei dubbi a riguardo.
Come ha osservato il pastore Tim Keller, quando il nostro Salvatore è venuto sulla terra, non si è presentato come un filosofo, figura altamente apprezzata dai Greci, né come un nobile statista, ruolo ben visto dai Romani, e neppure come un potente generale militare, posizione onorata dagli Ebrei, ma è venuto come un falegname, un artigiano dei nostri tempi; eppure, era proprio colui che avrebbe salvato il mondo. Quindi, faremmo bene a sbarazzarci delle nostre moderne concezioni che attribuiscono dignità soltanto ad alcune professioni in base al compenso e al prestigio che le accompagnano. Dovremmo smettere di pensare che alcuni lavori siano meno nobili perché sono meno pagati, richiedono meno istruzione e sono di natura fisica piuttosto che mentale.
Riconoscere il giusto valore di ogni tipologia di professione incoraggerebbe gli studenti a stimare speciali i propri talenti, interessi, la formazione e le esigenze familiari, spingendoli a cercare un futuro impiego che rispecchi tali caratteristiche personali e che sia orientato al servizio degli altri. Gli studenti, insieme ai loro genitori, sarebbero più propensi a considerare settori che attualmente richiedono lavoratori più qualificati come valide opzioni. Liberandosi dalla pressione di scegliere determinate carriere, indipendentemente dal fatto che siano o meno in linea con i loro doni, soltanto per il guadagno o il prestigio, potrebbero concentrarsi su come il loro lavoro possa onorare Dio e benedire gli altri.
Un altro vantaggio del valorizzazione ogni tipo di professione riguarda il fatto che molti studenti un giorno saranno genitori. Spesso, soprattutto per le donne, ci sono delle sfide da affrontare al termine del percorso di studi: per esempio, dopo aver svolto una certa professione per un periodo, decidono di lasciare il lavoro per occuparsi a tempo pieno della cura dei figli e della gestione della casa. Molte di loro vivono con un peso sul cuore, come se questa scelta rappresentasse uno spreco della propria vita. Non riescono a riconoscere quanto sia legittimo e prezioso dedicarsi alla gestione della casa e alla cura di chi non può badare a sé stesso.[5] Non comprendono l’idea che il lavoro per la famiglia, anche se non retribuito, potrebbe essere più significativo di quello che facevano prima. La nostra concezione gerarchica del lavoro ha conseguenze distruttive su molti fronti, compresa la sfera familiare.
Riscopriamo il vero valore del lavoro, come inteso da Dio.
Tratto dal libro "Come fiorisce la vita umana?"
[1] Dorothy Sayers: Why Work, un discorso pronunciato il 23 aprile a Eastbourne, 1942, consultabile su: https://centerforfaithandwork.com/article/why-work-dorothy-sayers.
[2] John Piper, Don’t Waste Your Life, Crossway, 2003, p. 139.
[3] Piper, Don’t Waste Your Life, op. cit., pp. 140, 141.
[4] Ho appreso i seguenti insegnamenti dal pastore Timothy Keller. Un sermone in cui Keller insegna su questo argomento è disponibile sul sito web della “Redeemer Presbytean Church” (www.redeemer.com). Il sermone si intitola “Made for Stewardship” e risale al 22 ottobre 2002.
[5] Questa sfida si fa ancora più intensa poiché il sistema educativo separa le questioni della vita pratica dalle mansioni domestiche, lasciando agli individui il compito di apprenderle autonomamente. Così, gli studenti arrivano all’università e si laureano con capacità molto diverse, incluse le più basilari come cucinare, gestire il denaro, pulire la casa, ecc. Allo stesso modo, manca spesso l’esperienza nel prendersi cura di bambini piccoli o la comprensione degli aspetti fondamentali dello sviluppo infantile, il che rende al giorno d’oggi il passaggio alla genitorialità, in un certo senso, traumatico. Di solito, queste conoscenze sono determinate per lo più dal background familiare. Ne parlo perché i ministeri universitari e le chiese locali possono supportare gli studenti, aiutandoli a vivere un’esperienza più ricca e completa della vita. Per esempio, esorto continuamente gli studenti universitari a prestare servizio nella nursery, non soltanto per rispondere a un bisogno concreto, ma anche per imparare qualcosa sulla cura dei neonati.