La situazione della Chiesa sembra triste quasi quanto quella del mondo. A quanto pare, anch’essa è una casa divisa contro sé stessa. Assomiglia a un bel vaso che, caduto dal suo trespolo, giace in mille pezzi. È come una grande struttura trasformata da un’esplosione in un aggrovigliato ammasso di rottami. Per quanto possa sembrare incredibile, il Corpo di Gesù Cristo è davvero uno solo: la Sua Chiesa.
“Esorto Evodia ed esorto Sintìche ad avere un medesimo sentimento nel Signore. Sì, io prego te pure, mio vero collega, vieni in aiuto a queste donne, le quali hanno lottato con me per l’evangelo, insieme a Clemente e agli altri miei collaboratori, i cui nomi sono nel libro della vita” (4:2, 3).
Il punto centrale del libro che state leggendo è Filippesi 1:27. Si tratta di un appello alla chiesa di Filippi affinché rimanga unita sia nella comunione sia nel ministerio. Paolo basa tale appello sul Vangelo e li esorta a vivere in modo degno di esso:
“Soltanto, conducetevi in modo degno del vangelo di Cristo, affinché, o che io venga a vedervi o che sia assente, senta dire di voi che state fermi in uno stesso spirito, combattendo insieme con un medesimo animo per la fede del vangelo”.
Basta frequentare una chiesa per notare due estremi pericolosi nel modo in cui si concepisce l’unità cristiana: l’unità come mera organizzazione e l’unità come pieno accordo su ogni dettaglio.
Unità come mera organizzazione?
“Io non prego soltanto per questi, ma anche per quelli che credono in me per mezzo della loro parola: che siano tutti uno; che, come tu, o Padre, sei in me e io sono in te, anch’essi siano in noi, affinché il mondo creda che tu mi hai mandato” (Giovanni 17:20, 21).
Non possiamo, per esempio, essere in comunione con chi ritiene che Maria sia corredentrice insieme a Cristo o che sia necessario rivolgersi a lei per ottenere misericordia da suo Figlio. Questo è un altro vangelo, che non salva. L’unità che Gesù invoca è radicata nella verità trasmessa dagli apostoli e che oggi possediamo nelle Sacre Scritture.
La vera grazia produce il frutto della santità (cfr. Giovanni 17:17, 19). Non possiamo quindi accogliere nella comunione cristiana coloro che da tempo hanno abbandonato la santità che procede dalla verità. Anzi, se prendiamo sul serio le parole di Paolo, quanti persistono ostinatamente nel peccato devono essere allontanati dalla comunità cristiana:
“Vi ho scritto nella mia lettera di non mischiarvi con i fornicatori, non del tutto però con i fornicatori di questo mondo o con gli avari e i ladri, o con gli idolatri, perché altrimenti dovreste uscire dal mondo, ma quel che vi ho scritto è di non mischiarvi con alcuno che, chiamandosi fratello, sia un fornicatore, un avaro, un idolatra, un oltraggiatore, un ubriacone o un ladro; con costoro non dovete neppure mangiare. Poiché, devo io forse giudicare quelli di fuori? Non giudicate voi quelli di dentro? Quelli di fuori li giudica Dio. Togliete il malvagio di mezzo a voi stessi” (I Corinzi 5:9-13).
Ogni volta che Cristo parla di unità, ricordiamoci di quanto il mondo sia pronto a disperdersi in modo sconvolgente quando si separa da Lui; impariamo che l’inizio di una vita benedetta è che tutti siamo governati e viviamo per mezzo del solo Spirito di Cristo.
Unità come accordo totale?
Tuttavia, è evidente che queste non sono questioni particolarmente rilevanti dal punto di vista dottrinale.
Se tale logica avesse prevalso nei primi tempi del cristianesimo, la Chiesa del Nuovo Testamento si sarebbe irrimediabilmente spaccata lungo la linea di demarcazione tra Giudei e Gentili.
L’apostolo Paolo affrontò questo tema in più di una sua epistola, in particolare in Romani e in I Corinzi. Ai Romani scrisse:
“Quanto a colui che è debole nella fede, accoglietelo, ma non per discutere opinioni. Uno crede di poter mangiare di tutto, mentre l’altro, che è debole, mangia soltanto verdure. Uno stima un giorno più di un altro, l’altro stima tutti i giorni uguali; sia ciascuno pienamente convinto nella propria mente … perché giudichi tuo fratello? E anche tu, perché disprezzi tuo fratello? Poiché tutti compariremo davanti al tribunale di Dio. Così, dunque, ciascuno di noi renderà conto di sé stesso a Dio” (14:1, 2, 5, 10, 12).
La Chiesa è una e deve essere tale perché Dio è uno. I cristiani sono sempre stati caratterizzati dalla loro unità (Atti 4:32). L’unità della Chiesa è sia una proprietà intrinseca che un segno visibile rivolto al mondo, che riflette l’unità di Dio stesso. Le divisioni e i litigi sono, dunque, uno scandalo particolarmente grave.
Entrambi gli approcci, per quanto opposti, falliscono nel riflettere la vera unità evangelica.
Il denominazionalismo estremo, cioè la tendenza a considerare la propria chiesa come l’unica giusta e santa, e quindi a separarsi dalle altre, accelera la divisione e quindi oscura più che mai l’unità della Chiesa, ma non può distruggerla. L’unionismo estremo, cioè la tendenza a considerare tutte le istituzioni che si dichiarano cristiane come autentiche e a promuoverne una qualche forma di unità organizzativa, minaccia la distruzione della Chiesa, ma non potrà mai distruggere né la Chiesa né la sua purezza.
Combattere insieme per la fede nel Vangelo
In un tempo segnato da divisioni, individualismo e frammentazione, anche nella chiesa, questo libro ci richiama alla verità centrale del Vangelo: l’unità è una chiamata, non un’opzione.
Con chiarezza biblica e sensibilità pastorale, questo breve ma profondo volume mostra che la vera unità evangelica è radicata nella verità, vissuta nell’amore e resa possibile dallo Spirito Santo.
Una risorsa essenziale per ogni credente che desidera:
Distinguere tra unità autentica e compromessi pericolosi;
Rifiutare il settarismo sterile;
Vivere la comunione cristiana come testimonianza della grazia;
Contribuire a una chiesa unita, forte e fedele.
➡️ Ideale per: pastori, responsabili di chiesa, membri di comunità locali, credenti impegnati nella vita della chiesa.
➡️ Temi trattati: unità nella verità, comunione nello Spirito, corresponsabilità nella chiesa, testimonianza evangelica.