Perché la sessualità esercita un fascino così potente sull’essere umano? Perché dovremmo prestare attenzione alla visione cristiana della sessualità? È proprio l’innegabile attrattiva della sessualità a spingerci a riflettere sulla sua dimensione religiosa intrinseca.
Basta pensare agli innamorati: ogni volta che un uomo “adora” la sua amata, ogni volta che una donna dichiara che la vita senza il proprio compagno sarebbe un “inferno”, o che la sua presenza la fa sentire “in paradiso”; ogni volta che una persona viene descritta come una “dea”: in tutte queste espressioni ricorre un linguaggio marcatamente religioso.
Nel romanzo Espiazione dello scrittore britannico Ian McEwan, reso celebre anche dalla trasposizione cinematografica, quando i protagonisti Robbie e Cecilia suggellano il loro amore, fisicamente e verbalmente, con le parole “ti amo”, l’autore scrive che Robbie “non abbracciava alcuna fede religiosa, ma gli era impossibile non percepire una presenza invisibile o un testimone nella stanza, e che quelle parole pronunciate ad alta voce fossero come firme apposte su un contratto invisibile”. In qualche modo, era impossibile non pensare che stesse accadendo qualcosa di trascendente.
Si racconta che lo psicoterapeuta Carl Jung abbia notato come le domande di natura sessuale avessero sempre una componente religiosa e come, al contrario, quelle di natura religiosa rivelassero sempre qualcosa di sessuale. Sesso e religione, nella storia, sono sempre stati intrecciati. Fin dagli antichi culti pagani del Vicino Oriente, il sesso è stato parte integrante della spiritualità. Lo scrittore luterano Walter Maier, al termine del suo studio sulla dea Asherah, confessa il suo stupore nel constatare l'ampiezza del raggio di diffusione geografica del suo culto — da Ierapoli fino alla Spagna — e la sua durata: dal secondo millennio a.C. fino all’epoca cristiana.
Sesso e religione, insomma, non sono mai stati mondi separati. Quando i cristiani parlano di sessualità, non introducono la religione dove non dovrebbe esserci: affrontano una questione che ha sempre avuto una natura profondamente religiosa.
Guerre culturali
Le voci cristiane che cercano di esprimersi sul tema della sessualità faticano a farsi sentire nel frastuono delle guerre culturali. In molte società occidentali, come negli Stati Uniti, si osserva un progressivo allontanamento dal conservatorismo culturale, con le sue norme morali e religiose, verso una concezione della sessualità come libera espressione dell’individuo.
In questo contesto, la questione più controversa è rappresentata dal matrimonio omosessuale. Tuttavia, statisticamente la manifestazione più diffusa di questo cambiamento di atteggiamento, è l’aumento dei casi di convivenza, intesa sia come periodo di prova prima di un eventuale matrimonio sia come vera e propria alternativa alla vita coniugale.
Negli Stati Uniti, più della metà degli americani sposati sotto i cinquant’anni ha convissuto prima delle nozze. La convivenza aumenta o riduce la probabilità di divorzio? E che impatto ha sui figli vivere con genitori non sposati ma conviventi? Le opinioni sono contrastanti. In generale, però, più una persona è giovane, più è probabile che consideri la convivenza una scelta ragionevole, come un buon banco di prova per il matrimonio o come una soluzione per evitarlo del tutto.
Riconoscere i pregiudizi
Nel vortice delle attuali guerre culturali, affrontare il tema della sessualità richiede una riflessione sincera sui propri pregiudizi. Siamo tutti coinvolti: ci interessa il modo in cui vengono affrontate le questioni morali perché, in un certo senso, quelle risposte parlano anche di noi. Ci giudicano. Anche chi scrive non può sottrarsi a questa dinamica.
Il filosofo Roger Scruton affermava di voler “guardare alla condizione umana con l’occhio distaccato dell’antropologo filosofo”. Tuttavia, uno sguardo neutrale è un’illusione. Per quanto cerchiamo di mantenere una mentalità aperta, ciascuno di noi porta con sé un bagaglio di presupposti che condizionano il modo in cui ci approcciamo alle questioni. I nostri pregiudizi nascono in parte dal contesto culturale in cui viviamo e in parte dalla nostra esperienza personale.
La cultura contribuisce a formare il nostro senso di ciò che è normale, accettabile o tollerabile. Spesso, però, lo fa in modo tanto più incisivo quanto meno ce ne rendiamo conto. Serie tv, film, romanzi, riviste, blog, emittenti radio: tutte queste forme di comunicazione, attraverso le storie che raccontano, trasmettono dei valori. A volte in modo esplicito, con approvazione o disapprovazione dirette, altre volte in modo implicito, senza alcuna forma di messa in discussione. Più spesso, però, lo fanno in modo implicito, semplicemente evitando qualsiasi forma di messa in discussione. Un silenzio che, a lungo andare, porta all’accettazione passiva di un certo comportamento.
Allo stesso tempo, anche le nostre esperienze personali hanno un impatto significativo sul modo in cui percepiamo la sessualità. Ognuno di noi, infatti, affronta il tema della sessualità con un proprio bagaglio di esperienze: memorie, emozioni, desideri, rimorsi, gratitudine, delusioni. In breve, non siamo osservatori imparziali, ma partecipanti coinvolti. La nostra conoscenza della sessualità è, almeno in parte, di tipo esperienziale: si tratta di una realtà che non si apprende soltanto con la mente, ma che si conosce anche attraverso la vita vissuta.
Per questa ragione, tendiamo a sviluppare una visione del mondo e una morale che siano compatibili con le nostre scelte. Cerchiamo, quasi istintivamente, di sentirci giustificati. E tendiamo a preferire quelle prospettive che ci confermano, che ci assolvono e che non mettono in discussione le nostre decisioni.
Al contrario, la visione cristiana di cui abbiamo bisogno non si limita ad assecondare i miei pensieri, i miei atteggiamenti o il mio comportamento. Non è fatta su misura per compiacermi. Una visione cristiana del mondo, per sua natura, ci mette alla prova. Ci interpella. Ci chiede, quindi, una revisione critica delle nostre convinzioni e delle nostre abitudini.
Dobbiamo, quindi, attenderci che si tratti di un cammino scomodo. Ma la domanda da porsi con onestà è proprio questa: la prospettiva cristiana sulla sessualità è vera? È credibile? Merita di essere ascoltata?
Il punto di partenza di una visione cristiana della sessualità
Nei dibattiti contemporanei, è comune sentir dire che i cambiamenti nella morale sessuale e nella vita familiare siano semplicemente il frutto dell’evoluzione culturale. Secondo questa prospettiva, non ci sarebbero standard assoluti con cui giudicare tali mutamenti. I conservatori culturali vengono spesso accusati di essere nostalgici di un passato idealizzato. Nel suo influente libro The Way We Never Were, la studiosa americana Stephanie Coontz afferma che i cambiamenti sociali sono irreversibili e che dovremmo adattarci a una nuova realtà, senza rimpiangere l’immagine mitica del matrimonio degli anni Cinquanta.
La visione cristiana, però, non si fonda su un’epoca d’oro passata, ma su un ordine più profondo e stabile: il matrimonio come istituzione divina. I cristiani non pretendono di riportare la società indietro nel tempo, ma affermano che, a prescindere dalle tendenze culturali, il matrimonio è un’istituzione ordinata da Dio fin dalla creazione. Si tratta di una forma di vita radicata nella natura umana e nella struttura stessa del mondo.
Quando il Signore Gesù e l’apostolo Paolo parlarono di matrimonio, citarono Genesi 2:24 come fondamento della sua definizione: “Perciò l'uomo lascerà suo padre e sua madre e si unirà a sua moglie, e saranno una stessa carne” (cfr. Matteo 19:5; Efesini 5:31). Dio avrebbe potuto creare l’umanità in molti altri modi, ma ha scelto di farlo in questo modo: come esseri sessuati, la cui sessualità è destinata a esprimersi nell’unione esclusiva, indissolubile, sociale e carnale tra un uomo e una donna, pubblicamente dichiarata e riconosciuta nel legame che chiamiamo “matrimonio”.
La Bibbia offre un’ulteriore chiave di lettura definendo il matrimonio “un patto di cui Dio è testimone” (cfr. Proverbi 2:17; Malachia 2:14). Quando un uomo e una donna si sposano, Dio è sempre presente per guardare e ascoltare, sia che si tratti di un matrimonio cristiano sia che non lo sia. Egli chiederà conto delle promesse fatte.
Ecco dove dobbiamo partire per sviluppare un serio percorso biblico e teologico.
Un percorso biblico, chiaro e coraggioso
In un tempo in cui la sessualità è al centro di tensioni culturali, confusioni identitarie e dibattiti spesso polarizzanti, c'è bisogno di una risposta profondamente cristiana, saldamente ancorata alla Bibbia e attenta alle sfide del nostro tempo.
Con lucidità teologica e sensibilità pastorale, questo libro affronta con coraggio temi come:
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Identità di genere e matrimonio biblico;
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Il disegno originario della creazione;
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Il significato redentivo della sessualità alla luce del Vangelo.
La sessualità non è né un tabù da temere né un idolo da inseguire, ma un dono di Dio da vivere con gratitudine, responsabilità e gioia all’interno del patto matrimoniale tra un uomo e una donna.
Un testo indispensabile per orientarsi con chiarezza tra i dilemmi morali e spirituali del nostro secolo.
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