“Per questa ragione, mettendoci da parte vostra ogni impegno, aggiungete alla vostra fede la virtù…” (II Pietro 1:5)
Le parole di questo versetto sono strettamente collegate a quelle precedenti, come suggerisce l’espressione iniziale: “Per questa ragione ...”.
Le esortazioni contenute in questo testo e nei versetti successivi si fondano sulla concessione delle preziose promesse divine, grazie alle quali possiamo diventare “partecipi della natura divina” (II Pietro 1:4). È un’affermazione luminosa, che ci proietta verso un’aspirazione celeste; e tuttavia, proprio per questo, richiede da parte nostra un impegno diligente e responsabile.
In questo e nei versetti successivi, troviamo quella che qualcuno ha definito con un’espressione suggestiva “la collana delle grazie cristiane”.
Iniziamo ora a considerare la prima di queste grazie; delle altre ci occuperemo nei capitoli successivi.
Il termine “virtù” non è molto frequente nel Nuovo Testamento. Appartiene più al vocabolario dei filosofi e dei moralisti che a quello degli evangelisti e degli apostoli. Nel pensiero biblico, ciò che i filosofi chiamavano virtù è spesso espresso con il termine “giustizia”. L’apostolo Paolo lo usa una sola volta con riferimento all’uomo, e sembra farlo con un certo distacco, come se appartenesse a un’altra sfera di pensiero:
“Quindi, fratelli, tutte le cose vere, tutte le cose onorevoli, tutte le cose giuste, tutte le cose pure, tutte le cose amabili, tutte le cose di buona fama, quelle in cui è qualche virtù e qualche lode siano oggetto dei vostri pensieri” (Filippesi 4:8).
La natura della virtù
Nelle epistole, il termine viene applicato due volte a Dio e una sola volta all’uomo. Possiamo dunque comprenderlo nel suo senso più alto, come eccellenza propria della natura divina. Tuttavia, nel nostro testo non può essere inteso in modo generico, perché è seguito da un elenco di qualità specifiche. È possibile che l’apostolo Pietro abbia voluto iniziare con un termine che racchiudesse in sé le altre virtù, proprio come si direbbe: “C’era una moltitudine di uomini: francesi, tedeschi e inglesi” – un concetto generale che anticipa le sue singole manifestazioni.
Qual è, dunque, il significato della “virtù” in questo contesto? La definizione più adatta è: forza, vigore e fermezza di decisione. Essa è il primo frutto della fede e, al tempo stesso, il primo obiettivo che il credente è chiamato a raggiungere. La forza morale e la tenacia del carattere si manifestano in una volontà salda e determinata. La vera virtù consiste in questa fermezza interiore.
Ma in quali forme può esprimersi questa forza, che nel suo significato etimologico è chiamata “virtù”, nella nostra vita?
Anzitutto, nel dominio delle circostanze. La fede dovrebbe infonderci un’energia tale da non lasciarci determinare passivamente dagli eventi esterni. È vero: una nave è soggetta ai venti e alle correnti, ma se a bordo c’è un marinaio esperto e le vele sono ben regolate, anche una leggera brezza può condurla nella giusta direzione. Due imbarcazioni, pur trovandosi nelle stesse condizioni atmosferiche, possono seguire rotte opposte a seconda di chi le guida. Allo stesso modo, le circostanze influiscono sulla nostra vita, ma il loro effetto dipende dalla nostra capacità di affrontarle.
La virtù menzionata nel nostro testo si manifesta in due modi: innanzitutto, nel determinare l’effetto che le situazioni esterne avranno su di noi; in secondo luogo, nel saperle dominare e piegare al nostro volere, anche quando dobbiamo accettarle con umiltà. L’uomo governa la natura non soltanto sottomettendosi alle sue leggi, ma anche imparando a sfruttarle a proprio vantaggio. Perciò, il cristiano è chiamato ad affrontare le situazioni non come vittima passiva, ma come guida spirituale, capace di orientarle verso la crescita della propria fede. Le prove e le difficoltà, se affrontate con questa forza interiore, possono trasformarsi in strumenti di crescita personale.
Inoltre, la virtù si esprime nel dominio di sé: nella capacità di governare i propri impulsi, desideri e passioni. Questi aspetti della nostra natura tendono a prevalere; più li assecondiamo, più ci indeboliscono. Chi ne è schiavo è privo di forza; ma chi esercita la volontà, chi sa frenare e orientare i propri moti interiori, mostra la forza che viene da Dio. L’autentica virtù si rivela nella padronanza interiore, nel saper sottomettere la parte inferiore del nostro essere alla volontà del Signore.
Questa energia spirituale è indispensabile anche nell'ambito del servizio cristiano. Un credente forte sa affrontare il giudizio degli altri con equilibrio, senza lasciarsi guidare da elogi o critiche. Non viviamo per l’approvazione umana, ma per compiere la volontà di Dio. Dobbiamo imparare a distinguere le critiche costruttive dalle opinioni infondate e mantenere la rotta fissando lo sguardo su Cristo.
Cari fratelli, mediante il dominio delle circostanze, l’autodisciplina, la temperanza cristiana e l’indipendenza dal giudizio umano, la fede si traduce in una virtù che è vera forza interiore: una potenza illuminata dalla conoscenza, temperata dalla benignità, capace di resistere alla tentazione e di orientare la vita secondo la volontà di Dio.
“Vegliate, state fermi nella fede, comportatevi virilmente, fortificatevi. Tutte le cose vostre siano fatte con amore” (I Corinzi 16:13, 14).
Nel mondo non potremo mai perseguire il bene se non possediamo e sviluppiamo questa forza interiore. Poiché il cammino della fede è contrastato da numerosi ostacoli, abbiamo bisogno di una virtù solida, senza la quale siamo destinati a soccombere.
Infine, ricordiamo che il modello perfetto di questa forza interiore è il nostro Signore Gesù Cristo. Tutto ciò che il mondo chiama potenza è in realtà debolezza, mentre la forza di Cristo si manifesta nell’amore, nella mansuetudine e nella benignità.
“Esulta grandemente, o figlia di Sion, manda grida di gioia, o figlia di Gerusalemme; ecco, il tuo re viene a te; egli è giusto e vittorioso, umile, in groppa a un asino, sopra un puledro di asina” (Zaccaria 9:9).
“Nella tua magnificenza avanza sul carro, per la causa della verità, della clemenza e della giustizia; e la tua destra ti farà vedere cose tremende” (Salmo 45:4).
Gesù è il nostro esempio supremo di virtù perfetta.
La radice della virtù: la potenza della fede
L’espressione “aggiungete alla vostra fede …” può essere resa con maggior precisione con “integrate alla vostra fede …”. Questo suggerisce che la virtù non è qualcosa da aggiungere esternamente alla fede, come se le grazie spirituali si accumulassero una sull’altra come mattoni sovrapposti.
La virtù, piuttosto, nasce all’interno della fede stessa: ne è un frutto naturale, un’emanazione organica. La fede è la radice, il germe vitale da cui si sviluppa la virtù e, con essa, tutte le altre grazie che seguiranno.
Il prezioso elenco delle grazie cristiane presentato da Pietro è un vero e proprio processo di crescita spirituale: ogni qualità deriva dalla precedente e conduce naturalmente a quella successiva. È una sorta di “evoluzione” cristiana, in cui le virtù fioriscono a partire dalla caratteristica cristiana fondamentale: la fede in Gesù Cristo, che le contiene potenzialmente tutte.
Il principio sotteso a questa esortazione è chiaro: la fede in Cristo è la fonte da cui scaturiscono tutte le virtù del carattere cristiano. Non perché la fede possieda in sé già tali virtù, ma perché è in grado di attingere alla potenza di Dio.
Non intendiamo affermare che le virtù elencate nei versetti successivi non possano esistere anche in chi non ha fede, sarebbe impreciso. Tuttavia, se tali qualità non sono radicate in Cristo, ne perderanno la loro forza più profonda, la loro consacrazione più alta e la loro stabilità duratura.
Il Nuovo Testamento non presenta la fede come un mero atto mentale, utile soltanto a ricevere il perdono. Se la nostra vocazione e fiducia in Cristo non generano in noi frutti concreti e nobili, allora c’è qualcosa di profondamente errato nella nostra esperienza spirituale.
Avere fede in Cristo significa aprire le chiuse della diga del nostro cuore e, una volta aperte, il fiume dell’acqua della vita comincia a scorrere. La fede è la condizione essenziale per possedere "tutto ciò che è amabile e di buona fama" (Filippesi 4:8), perché essa apre la porta al Signore, il quale, quando entra nella vita del credente, non viene mai a mani vuote, ma porta con Sé le Sue virtù.
Se qualcuno pensa che la fede serva soltanto a ottenere il perdono o a sfuggire alla condanna eterna, allora deve ampliare la propria comprensione di ciò che essa realmente è e del fine per cui ci è stata donata. Se, d’altra parte, qualcuno crede che il messaggio cristiano svaluti la moralità perché “la fede sostituisce il carattere”, è urgente correggere questa visione distorta. Il cristianesimo non elimina il carattere, ma lo fonda sulla fede e chiede a chi crede in Cristo di dimostrare la propria fede con le azioni.
“Infatti, come il corpo senza lo spirito è morto, così anche la fede senza le opere è morta” (Giacomo 2:26).
Una fede che non si traduce in virtù, conoscenza e altre grazie di questa preziosa catena è, se non già morta, certamente destinata a spegnersi. Se non ha sufficiente vitalità per generare frutto, la distanza tra essa e la morte spirituale è breve.
Popolo cristiano, prendi a cuore questa verità!
Riporre la propria fiducia in Dio, così come Egli ci è stato rivelato in Cristo, ha una naturale tendenza a produrre un carattere forte. Questo è proprio il punto essenziale del nostro testo.
La fede infonde forza anche a chi si trova su strade sbagliate: dove c’è fiducia, c’è energia; dove c’è fiducia, c’è pace e sicurezza.
Quando la fede è vissuta come comunione viva con Dio, essa è fonte di forza, perché avvicinandoci a Lui, i turbamenti dell’anima si placano in una quiete profonda.
Nel luogo santo del tempio, il sacerdote non era disturbato dal clamore del mondo mentre entrava in comunione con Dio. Così è per il credente: i rumori della vita si allontanano quando egli si avvicina di più al Signore.
Inoltre, la fede, come visione delle realtà invisibili, infonde forza spirituale. Più viviamo nella luce della certezza della gloria futura, più le illusioni e le vanità terrene perdono il loro potere su di noi.
“… poiché le cose che si vedono sono solo per un tempo, ma quelle che non si vedono sono eterne” (II Corinzi 4:18).
Il sole della fede e della speranza spegne le luci artificiali delle nostre illusioni mondane.
Fratelli, aggrappiamoci a Gesù Cristo! Rimaniamo in comunione con Dio giorno dopo giorno, viviamo nella consapevolezza di quel meraviglioso futuro – che in realtà è già un presente invisibile che ci circonda – e avremo la forza per resistere nel giorno malvagio.
“Perciò prendete la completa armatura di Dio, affinché possiate resistere nel giorno malvagio e, dopo aver compiuto tutto il vostro dovere, restare in piedi” (Efesini 6:13).
Chi si fida di Dio sarà saldo, forte e incrollabile, perché la sua fede non poggia su fragili speranze umane, ma sulla potenza eterna di Dio.
Come coltivare questa “virtù” con i nostri sforzi
“Mettendoci da parte vostra ogni impegno …” (II Pietro 1:5).
Il termine originale usato in questo versetto è ancora più espressivo e potrebbe essere reso con: “Mettendoci tutta la vostra premura, diligenza, serietà …”. Rispetto a cosa? Rispetto alla realtà già compiuta e menzionata nel versetto precedente: quella di essere “partecipi della natura divina” (II Pietro 1:4).
Il dono di Dio non rende superfluo il nostro sforzo; al contrario, lo esige come complemento e naturale conseguenza di ciò che abbiamo ricevuto.
Non è questo il momento per approfondire il rapporto tra il dono divino e l’impegno umano nella salvezza, un tema vasto e complesso. Questa verità può essere osservata da due diverse prospettive: si può concentrare esclusivamente sull’opera divina, ignorando il ruolo della nostra responsabilità, oppure si può enfatizzare così tanto lo sforzo umano da perdere di vista l’opera di Dio. È come in certi disegni intricati, in cui, a seconda di come si focalizza lo sguardo, si vede bianco su nero oppure nero su bianco.
Il nostro testo pone l’elemento divino come fondamento primario, ma non afferma: “Dio fa tutto, quindi voi non dovete fare nulla”. Né afferma: “Chiudete gli occhi, aprite la bocca e accettate passivamente ciò che vi viene dato”. No, Dio opera in noi, ma noi dobbiamo manifestare il Suo operato attraverso la nostra vita.
Proprio perché siamo “partecipi della natura divina”, dobbiamo “mettere da parte nostra ogni impegno”. La virtù deve essere esercitata attivamente nella nostra condotta, affinché il carattere cristiano si formi e si rafforzi. Il nostro modo di vivere deve riflettere ciò che Cristo ha comunicato alla nostra anima riguardo alla bellezza e alla purezza divine.
Il principio dell’impegno spirituale
Il principio generale è semplice: la crescita di questa virtù non richiede spiegazioni complesse, perché anche il più debole di noi può diventare forte se afferra e coltiva la potenza divina.
Il modo migliore per dimostrare il nostro impegno è nutrire la fede, che è la sorgente di ogni forza spirituale.
Imparate a pensare a Gesù Cristo durante tutta la giornata. Non limitate la vostra attenzione a Lui solo alla domenica o ai momenti di preghiera, ma fate sì che il Vangelo plasmi il vostro cuore e la vostra mente anche nelle attività quotidiane, nel lavoro e nei doveri più semplici.
Allora scoprirete che la Sua potenza scorre in voi e sarete forti in Cristo!
Possiamo ricevere questa forza in abbondanza se iniziamo ad agire per fede, come se avessimo già ciò che chiediamo.
In pratica, possiamo coltivare l’autodisciplina, imparando a ignorare le voci del mondo e a non farci sopraffare dalle circostanze.
La volontà esercita il suo dominio solo quando ne riconosciamo l’autorità.
Se lo vogliamo, possiamo dominare le tendenze ribelli della nostra natura. Possiamo obbligarle a essere guidate dalla nostra volontà, che a sua volta deve essere sottomessa alla volontà di Dio.
Non esiste un metodo migliore per sviluppare un vigore spirituale saldo e perseverante.
Innanzitutto, dobbiamo vivere vicino alla sorgente della fede, Gesù Cristo, perché:
“Quelli che sperano nell'Eterno acquistano nuove forze, si alzano in volo come aquile; corrono e non si stancano, camminano e non si affaticano” (Isaia 40:31).
Poi, esercitiamo la forza spirituale che già possediamo, anche se ci sembra poca. Con l’uso e la pratica, crescerà sempre di più.
“Del resto, fortificatevi nel Signore e nella forza della sua potenza. Rivestitevi della completa armatura di Dio, affinché possiate stare saldi contro le insidie del diavolo” (Efesini 6:10, 11).
Solo rimanendo in Cristo possiamo coltivare una virtù solida, efficace e capace di resistere in ogni circostanza.
Scopri tutte le qualità del credente secondo il cuore di Dio
In Gemme di grazia, Alexander Maclaren ti accompagna lungo il percorso tracciato dall’apostolo Pietro – dalla fede all’amore perfetto – esplorando una ad una le virtù cristiane come gemme preziose da cercare, custodire e vivere.
Con profondità biblica e calore pastorale, questo libro ti aiuterà a:
Comprendere e applicare le qualità spirituali elencate in 2 Pietro 1:5-7;
Coltivare una fede che cresce nell’affetto fraterno e si perfeziona nell’amore;
Camminare verso una maturità spirituale che rifletta il carattere di Cristo.
Ogni capitolo è un passo concreto nel tuo cammino di santificazione, ideale per la meditazione personale, i gruppi di studio biblico o gli incontri di discepolato.
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