L'Impero degli Idoli - ADI-Media

L’Impero degli Idoli

A un primo sguardo, è facile considerare l’antica Persia come un mondo profondamente diverso dal nostro e quindi per buona parte incomprensibile. Gente rozza, una società primitiva, dei costumi arcaici, idee religiose tribali e concezioni dell’umanità profondamente arretrate; nulla che ci appartenga. Inquadrare la questione in questi termini può sembrare ragionevole, eppure esserne assolutamente certi potrebbe essere un grave errore.

In linea di massima, il cuore dell’uomo non è cambiato granché nel corso degli ultimi millenni: gli uomini restano fondamentalmente gli stessi, con le loro passioni, paure e insicurezze. La vita interiore di un dittatore persiano o di un mandriano assiro non era poi così diversa dalla nostra.

Il regista e scrittore tedesco Werner Herzog ha esplorato i disegni rupestri scoperti in Francia nel suo documentario The Cave of Forgotten Dreams. Le raffigurazioni lungo le varie pareti della grotta appaiono eleganti e rappresentano vari animali in movimento. Sul fondo delle grotte scorre un rigagnolo ed Herzog ha mostrato come la luce del fuoco e delle torce illuminando quel corso d’acqua, si rifletta poi sulle pareti quasi animando l’intera scena. Guardando la luce in movimento che lambisce quelle immagini, ci si rende conto che l’umanità, anche nelle età più primitive, aveva, come noi, immaginazione, amore per la bellezza e, con ogni probabilità, la propensione a osservare le immagini e a raccontare storie. Loro riproducevano delle rappresentazioni stilizzate di cervi e tori, dipinte con dei carboncini, noi abbiamo Netflix. Eppure le dinamiche psicologiche non sono molto dissimili: lo stesso vale per le sculture in rilievo, le statue, l’architettura e la mitologia della Persia. La loro cultura riflette i bisogni del cuore umano, esattamente come accade ancora oggi a ognuno di noi. Quando guardiamo la Persia attraverso questa lente, riusciamo a cogliere molti aspetti familiari. Vediamo le opere architettoniche e la potenza militare di Serse, laddove i suoi palazzi imponenti riflettevano le dimensioni del suo vastissimo impero. Entravano in gioco questioni meramente politiche ma anche personali: la necessità di ricevere amore e il desiderio di suscitare timore, tutto ciò non si realizzava unicamente con delle formali dimostrazioni di fedeltà all’impero, ma presupponeva una piena dedizione al sovrano. Serse era mortale, aveva un’anima come noi e, in questo mondo decaduto, il nostro cuore è sempre alla disperata ricerca del senso della vita, per scoprire se la nostra esistenza ha un significato oppure no. Noi tutti costruiamo imperi nella speranza di ispirare amore, lealtà e ammirazione. Alcuni hanno semplicemente la capacità di farlo su una scala più grande di altri.

Assimilazione

Un modo per raggiungere questo obiettivo, che sarebbe diventato ben presto assai importante, era quello di assimilare le varie forme religiose. Come fecero i Babilonesi prima di loro, quando si trattava di gestire le questioni religiose, i Persiani abbracciarono un certo pragmatismo. Molti imperi dell’antichità, nella furia delle loro conquiste, imponevano una nuova visione religiosa alle popolazioni conquistate, rimpiazzando le loro divinità tradizionali, e sostituendole con qualche nuova forma di culto. I Persiani e i Babilonesi agivano solitamente in modo un po’ diverso. Qualunque divinità era benvenuta, a patto che divenisse parte del più ampio pantheon degli dèi di quell’impero. Questo sistema ha funzionato bene, con poche eccezioni (gli Ebrei sono una tra queste).

E anche qui il nostro mondo e quello di Ester, in qualche modo si sovrappongono. L’idea veramente pericolosa in Persia e in Babilonia, e l’unica vera eresia, era quella di credere che la propria espressione di culto, fosse l’unica vera religione. Questo, infatti, andava ad alterare il loro ordine delle cose, facendo sorgere dei dissidi religiosi e incrinando quel pluralismo che assimilava, parificava e pacificava ogni cosa. Nel nostro mondo, le conseguenze sono identiche, sebbene per ragioni diverse: mentre la cultura persiana era apertamente pagana, la nostra è pesantemente segnata da una visione secolarizzata.

Ma la religione non è scomparsa del tutto; la gente, infatti, spende migliaia di euro per partecipare a ritiri di meditazione trascendentale e questa pratica, così come la tecnica meditativa della consapevolezza, ha dei sostenitori nei circoli accademici e nel mondo degli affari. Anche se non si sarebbe mai disposti a identificarli come religiosi, nella nostra cultura laica, ci sono vari movimenti e parecchi aspetti che sono decisamente assimilabili alle logiche della religione, che piaccia o no. Tali movimenti promettono ai loro adepti il raggiungimento di conoscenze esclusive, della vera felicità o di particolari virtù morali: i vegani, i sostenitori del parto in casa, i no vax, la medicina omeopatica o qualunque delle dozzine di ortodossie nutrizionali. La loro menzione non equivale a una condanna, ma sottolinea la passione che ciascuna di queste pratiche può ispirare. Allo stesso modo, c’è un fanatismo quasi religioso che trascina le persone in attività come il CrossFit, il SoulCycle o lo yoga. Siamo creature che cercano un senso e uno scopo, e queste attività possono rapidamente diventare pseudo-religioni che offrono una prospettiva di significato o l’accesso a una dimensione che in ogni caso dovrebbe trascendere la materialità e la fisicità della dimensione in cui siamo inseriti.

Il  motivo per cui queste “religioni” riescono a sopravvivere è che sono, per lo più, innocue; i loro obiettivi sono narcisistici, concentrati sul proprio io; non lanciano delle sfide alla società o alle persone che ci sono vicine. Sotto questo aspetto somigliano molto ai templi dedicati al dio sole o al dio lucertola: che la gente offra pure sacrifici cruenti, sessuali o qualunque altra cosa, purché non si distrugga a vicenda e, qui sta il vero nocciolo della questione, purché riconosca che Serse o Cesare o Nabucodonosor sono anche loro degli dèi. Trattandosi di sovrani, sono gli unici dèi che hanno rilevanza, quelli che devono essere ubbiditi e temuti. E questo ci riporta al concetto di secolarizzazione.

Secolarizzazione

Il secolarismo (o laicismo) è il dio indiscusso di questo tempo. È quello che regola il funzionamento degli altri “dèi” nella nostra società. Perché, pur non avendo cancellato la religione o la spiritualità, esso ha creato uno scenario che le pone decisamente in secondo piano. Le idee fondamentali del nostro mondo insistono sul fatto che tutto ciò che esiste è ciò che può essere visto, toccato, assaggiato, annusato e ricade quindi sotto i nostri sensi. In questi termini, per esempio, il laicismo nega la vera trascendenza. Sebbene ammetta la possibilità dell’esperienza trascendente, ne offre una spiegazione chiamando in causa delle cause materiali: quindi, ciò che chiamiamo trascendenza o esperienza religiosa è in realtà una combinazione di ormoni e di nessi neuronali a livello cerebrale e trova una spiegazione nell’evoluzione, scritta nel nostro DNA, legata alla necessità di far progredire e conservare la nostra specie.

I laici tollerano le religioni fintanto che queste non danno indicazioni sulla felicità e il benessere altrui, cioè fintanto che non portano avanti un quadro onnicomprensivo che definisca una buona vita. In questo modo, quando le religioni o la spiritualità sono maggiormente indirizzati al benessere personale, quando non fanno richieste a nessuno se non ai loro adepti, la laicità concede loro uno spazio. Il secolarismo sembra dire: “Fate pure i vostri ritiri di meditazione trascendentale; mangiate pure il vostro cibo vegano, ma non assegnate a queste pratiche un significato generale che abbia la pretesa di inquadrare il mondo intero. Non permettiamo che le vostre convinzioni vi portino a giudicare tutti quelli che non le seguono e, soprattutto, non accettiamo che entrino in competizione con il nostro io ipertrofico”.

In Persia, a Babilonia e a Roma, chi non ha abbracciato questo modo di pensare si è trovato nei guai, venendo oppresso o isolato, o magari calpestato dagli elefanti di Serse. Qualcosa di simile sta accadendo ai cristiani anche ai nostri giorni.

Pornificazione

Un chiaro esempio può essere ravvisato negli idoli legati alla sessualità, in particolare quando consideriamo il modo in cui questi idoli hanno modellato la concezione della donna: in Persia, le donne erano essenzialmente una proprietà, e anche se dobbiamo riconoscere che la considerazione delle donne nella nostra società è decisamente migliorata, non possiamo sentirci molto migliori.

Non c’è da stupirsi se, da quando il secolarismo si è affermato a livello popolare, abbiamo assistito all’ascesa di quella che la giornalista Pamela Paul ha definito una cultura “pornificata”,[1] dove le donne sembrano essere diventate più che mai degli oggetti. La pornografia cerca di soddisfare i nostri desideri più reconditi per poi sbatterceli in faccia. Come descrive la Paul nel suo libro, la pornografia ha una tendenza progressiva: più si diffonde, più imprigiona chi ne fruisce, trascinandolo in una spirale oscura e violenta.

Il primo capitolo del libro di Ester si chiude con Assuero intento a ricordare all’impero che le donne sono sottomesse agli uomini. Un’età laicizzata come la nostra realizza qualcosa di simile, separando il sesso da qualunque significato, creando l’illusione dell’autonomia e immergendo le donne in un mondo che si dichiara femminista a parole, ma che le riduce costantemente alla stregua di oggetti, preparandole a essere sfruttate sistematicamente dagli uomini. L’uno, il metodo persiano, è evidente, dichiarato; l’altro, il metodo della secolarizzazione del nostro tempo, è surrettiziamente eversivo. Entrambi si traducono in culture coercitive e disumanizzanti che operano al servizio di un idolo.

Il messaggio del primo capitolo di Ester è chiaro nei confronti di chi pensa di sfidare lo status quo: il dissenso non è tollerato, l’opposizione ha come conseguenza l’isolamento coatto. Anche qui troviamo un parallelo tra il mondo di Ester e il nostro. Mentre le norme della società si allentano dando accoglienza a ogni forma di sessualità, le voci di dissenso sono diventate sempre più sgradite. Anche se non abbiamo ancora visto nessuno spedire i cristiani in esilio, almeno in Occidente, chi cerca di resistere deve affrontare delle conseguenze, venendo etichettato come “intollerante”, bigotto e sentendosi emarginato dal mondo dei media, da quello accademico nonché dai mercati finanziari. Talvolta, chi si oppone alla cultura dominante laicizzata, nel mondo del lavoro, rischia di veder soccombere la propria attività commerciale sotto i colpi delle vertenze legali.* Resistere diventa pericoloso e, anche se non si è condannati all’esilio in senso letterale, si viene regolarmente proscritti sul piano sociale.


[1] Pamela Paul, Pornified: How Pornography Is Damaging Our Lives, Our Relationships, and Our Families, Times Books, New York 2005 (trad. it. Pornopotere. Come l’industria porno sta trasformando la nostra vita, Orme, 2007).

* L’autore fa riferimento a quei procedimenti giudiziari, intentati soprattutto negli Stati Uniti, contro quegli esercenti che, sulla base delle loro convinzioni religiose, hanno negato determinati servizi (quali ad esempio le torte nuziali a coppie omosessuali). N.d.E.


Questo articolo è tratto da
“Fede in un Mondo Senza Fede”