Che cos'è l'ispirazione della Bibbia - ADI-Media

Che cos’è l’ispirazione della Bibbia

L’ispirazione è l’influenza soprannaturale dello Spirito di Dio sulla mente umana, mediante la quale gli scrittori sacri furono sospinti a scrivere verità divine senza errori (cfr. II Timoteo 3:16; Giovanni 10:35; II Pietro 1:19-21).

Quando Paolo scrisse a Timoteo che “ogni Scrittura è ispirata da Dio” (cfr. II Timoteo 3:16), si riferiva naturalmente alle “sacre Scritture” originali (v. 15). Definendole ispirate (gr. theòpneustos = soffiate da Dio) attribuì il soffio di Dio a tutte le Scritture, proprio come “il fiato dell’uomo è in ogni parola che pronuncia, facendo di essa il mezzo per esprimere i suoi pensieri”.[1]

L’opera dello Spirito Santo

Che l’Antico Testamento fosse opera dello Spirito Santo era convinzione ferma dei cristiani agli albori della Chiesa e che lo Spirito di Dio avesse parlato per mezzo dei profeti era uno degli elementi basilari del credo orientale. “Le Scritture furono date per mezzo dello Spirito Santo”, scriveva Clemente Romano alla fine del primo secolo.

I profeti si rendevano conto di essere influenzati da una potenza più forte di loro (cfr. Isaia 8:11; 61:1; Geremia 1:9; Ezechiele 3:4); erano sospinti dallo Spirito di Dio (cfr. II Pietro 1:21).

Sono stati tanti gli sforzi intenti a definire che cosa fosse l’ispirazione e spiegare perciò in quale maniera lo Spirito Santo avesse operato nella mente degli scrittori. Atenagora di Costantinopoli paragonava la Sua azione a quella di un suonatore di flauto che, per mezzo del fiato, rendeva lo strumento armonioso e ricco di toni.[2] Il processo dell’ispirazione non fu meccanico, perché l’uomo non è una macchina né, tantomeno, il suo Creatore lo considera tale. Suggerendo agli uomini il messaggio che avrebbero scritto, Dio rispettò la loro personalità, perciò la trasmissione comprende il loro carattere e anche le loro capacità individuali. Ciascun libro possiede uno stile di scrittura differente, che dipende dalla soggettività dello scrittore. Il divino messaggio rivolto ad Abraamo è contrassegnato da caratteristiche specifiche: lo sfondo è il percorso che egli fa da Ur dei Caldei fino alla terra promessa. La scena cambia quando la narrazione della vita di Giuseppe ci conduce nel paese di Egitto e muta di nuovo quando camminiamo con Mosè attraverso il deserto e percorriamo la strada verso il monte Sinai. Come sono differenti i dolci canti di Davide dalle impetuose esortazioni di Amos o le lamentose suppliche di Geremia in confronto alle narrazioni ordinate di Luca! Quanto sono singolari sia la logica stringente di Paolo sia le esortazioni piene di amore di Giovanni! Dobbiamo essere molto grati a Dio per questo elemento umano nella Bibbia: un fenomeno degno di essere studiato.

Impariamo molto anche dalle differenti sfumature della persona di Cristo, descritte nei quattro Vangeli, perché ciascuna di esse aggiunge un tocco fondamentale al quadro completo. Per le lettere, il Signore non ha voluto lasciarci soltanto la penna di Paolo, ma anche quella di Giacomo, di Pietro, di Giovanni e di Giuda. Tuttavia, se l’elemento umano nelle Scritture è ovunque notevole, quello divino ha sempre il predominio.

L’elemento divino e quello umano

L’elemento umano non può essere separato da quello divino. La Bibbia è considerata il documento trasmesso dalla rivelazione e ciò è assolutamente vero, ma non è tutto: la Bibbia è anche il documento ispirato della rivelazione. L’ispirazione divina fa della Bibbia la Parola di Dio e non semplicemente un libro che contiene la Parola di Dio.

Non esistono due parti come spesso accade nelle pitture, cioè l’opera dell’artista e quella dei discepoli dell’artista stesso. Dio non ha aggiunto le Sue parole a quelle dei profeti, ma ha parlato per mezzo dei profeti. Lo Spirito Santo non diede loro un messaggio, abbandonandoli poi perché ne facessero ciò che pareva loro meglio. Ed è bene per noi che sia così, poiché sarebbe una pazzia pensare che l’uomo limitato, per natura e per le conseguenze del peccato, possa scindere autonomamente ciò che è umano da ciò che è divino, la narrazione dalla rivelazione.

L’ispirazione verbale

L’espressione ispirazione verbale non si trova nella Bibbia ma, come sosteneva Lightfoot,[3] il pensiero è sottinteso nella concezione di ogni ispirazione, poiché le parole sono senz’altro gli strumenti per esprimere e i mezzi per rivelare le idee. Hooker[4] affermò, a sua volta, che le Scritture sono pensate in maniera così perfetta da non contenere una sola parola in più o in meno, così che lo scrittore “non aveva detto neppure una parola di suo, ma aveva pronunciato tutte le parole esattamente come lo Spirito le aveva messe nella sua bocca”.

Il credente non pensa della Bibbia quello che invece ritiene il musulmano del Corano, cioè che il Libro Sacro perda la sua virtù quando viene tradotto in un’altra lingua, e neppure lo considera come gli Indù considerano il Veda, cioè un talismano che possieda potenza solamente se scritto in sanscrito. Al contrario, la Bibbia mantiene il suo valore in tutte le lingue e per questo il credente si compiace di portarla agli altri popoli nella loro lingua di origine. Il valore del libro non risiede soltanto nella lettera, ma nello spirito, nel suo significato e nel messaggio vivente che contiene. La Parola è divinamente ispirata nel senso che essa reca, come disse Gregorio Magno scrivendo a Teodoro, “… il cuore di Dio nelle parole di Dio”.*

Se considerate sotto la luce dell’ispirazione spirituale, le differenze di espressione e le eventuali discrepanze, che si possono notare qua e là, o certe differenze nella narrazione del medesimo episodio non devono sorprenderci e lasciarci perplessi. Proprio come la doppia immagine determina l’effetto di prospettiva nei nostri occhi, così la presentazione sotto vari aspetti della medesima verità o dello stesso episodio fa sì che la rivelazione che essi contengono sia meglio comprensibile.

Anche quando gli evangelisti tramandano in maniera diversa le parole di Cristo, consideriamo che le variazioni sono dovute in parte alla traduzione dall’aramaico e in parte alla diversa impressione che esse suscitarono fra coloro che le udirono. Esse non si contraddicono ma si completano tra di loro e illuminano tutto l’insieme, come si può notare in maniera evidente nel triplice racconto dell’episodio della trasfigurazione, nel quale ciascun narratore, nel riportare i fatti, arricchisce la bellezza del quadro.

La testimonianza dello Spirito Santo

L’ispirazione dello Spirito Santo terminò quando la Bibbia fu scritta per mano di coloro che il Signore scelse per farlo. Il processo di rivelazione della Parola si completa quando lo Spirito Santo applica le Scritture ad ogni anima che crede, illuminando i cuori che la ricevono.

Questo fatto, che dai riformatori fu chiamato “la testimonianza interiore dello Spirito”, risponde a una domanda posta frequentemente: come possiamo sapere che la Bibbia è veramente la Parola di Dio? Nessuna prova umana può risolvere tale questione. La Bibbia dimostra autonomamente la sua autenticità e l’unica testimonianza valida è quella dello Spirito Santo. Perciò, quando Dio parla, l’uomo non può fare altro che ascoltare: “… sia Dio riconosciuto veritiero, ma ogni uomo bugiardo… ” (Romani 3:2-4); “Chi ha orecchio ascolti ciò che lo Spirito dice alle chiese” (Apocalisse 3:6).

L’esperienza cristiana avvalora questa tesi. Agostino d’Ippona narra che prima della sua conversione le Scritture gli sembravano inferiori a molta letteratura romana, ma più tardi esse divennero il suo diletto e la sua gioia, le difficoltà sparirono e scoprì nella Parola la verità ispirata da Dio. Quando non c’è fede la Bibbia può essere studiata come un libro di letteratura, di storia o anche di teologia, ma senza alcun profitto spirituale. Come le onde sonore non producono alcun effetto sul ricevitore se questo non è connesso, così la voce di Dio non viene percepita senza la giusta disposizione di fede (cfr. Ebrei 4:2). Per chi è nato di nuovo, invece, la Bibbia diventa il libro insostituibile. Per mezzo dell’illuminazione dello Spirito Santo il credente inizia a vederla da una nuova prospettiva, così ciò che prima sembrava monotono e privo di interesse acquista una bellezza suprema e un significato profondo, proprio come lo splendore delle vetrate a colori si rivela quando il sole le attraversa. La necessità dell’elemento della fede non esclude la partecipazione dell’intelletto, al contrario esso si sviluppa al massimo quando ascolta la voce del Redentore.

Lo Spirito Santo, che ispirò le Scritture, agisce da divino interprete delle Scritture stesse. Il teologo Giovanni Crisostomo affermò che lo Spirito di Dio “rivela il vero significato soltanto a coloro che con umiltà e diligenza lo ricercano”.

La Parola vivente

Mentre affermiamo che la Bibbia è, in sé stessa, la Parola ispirata di Dio, prendiamo atto anche del fatto che il suo messaggio diventa efficace per un individuo quando questi lo accetta per mezzo della fede, ricevendo una vita nuova in sé stesso (cfr. I Pietro 1:23, 25; I Corinzi 2:12, 15; I Tessalonicesi 2:13). In questo senso la Parola non è più qualcosa che noi possediamo, quanto invece qualcosa che ci possiede. “Infatti la parola di Dio è vivente ed efficace … e giudica i sentimenti e i pensieri del cuore” (Ebrei 4:12).

Il prof. George J. Romanes di Edimburgo asserì che, al tempo in cui era agnostico e cominciava a esaminare la Bibbia, improvvisamente ebbe la sensazione che fosse la Bibbia a esaminare lui. Essa istruisce, convince e corregge (cfr. II Timoteo 3:16) e la sapienza che impartisce è divina. La Parola scritta è lo strumento di cui Dio si serve: è vivente, è eterna e, per mezzo di essa, Dio si rivolge direttamente all’uomo. La Parola dunque viene a noi con autorità e ora noi dobbiamo cercare di comprendere la natura e lo scopo di questa autorità.

Questo articolo è tratto da


[1] Handley Carr Glyn Moule, The Second Epistle to Timothy, Religious Tract Society, London, 1906, p. 123.

[2] Henry Barclay Swete, The Holy Spirit in the Ancient Church, MacMillan & Co, London, 1912, p. 45.

[3] John Lightfoot (Stoke-on-Trent, 1602 – Ely 1675) è stato un teologo ed ebraista inglese.

[4] Richard Hooker (Heavitree, 1544 – Bishopbourne, 1600) è stato un teologo e presbitero inglese.

* Dalla Lettera di Gregorio Magno a Teodoro, medico dell’imperatore (Gregorio Magno, Lettere, V, 46).