Pentecostali e Bibbia: una Parola vivente, operante e permanente - ADI-Media

Pentecostali e Bibbia: una Parola vivente, operante e permanente

Le etichette sono utili quando servono a chiarire, definire e descrivere; tuttavia, i loro limiti diventano evidenti nel momento stesso in cui si applicano. Tutte le etichette, infatti, tendono a codificare, limitare ed escludere, pertanto, nessuna può essere in grado di raccogliere tutti gli aspetti e i valori di un ente o di un fenomeno. La vita ha la capacità di sfuggire ai confini fissati da qualsiasi etichetta. Questo vale soprattutto in ambito religioso. Riformato, evangelico, pentecostale… la sola menzione di questi termini dà vita a una gamma tanto varia di descrizioni che, in breve tempo, si scopre che l’etichetta diventa inutile. In che modo, allora, possiamo definire la viva e dinamica presenza dello Spirito Santo nella chiesa? In altre parole, la grazia dello Spirito Santo operante nella vita di una chiesa, attraverso la pienezza e l’esercizio dei carismi, può essere “etichettata”?

“Pentecostale”: un’etichetta o una lente?

Per rispondere, in questo studio il termine pentecostale non è usato come etichetta che definisce un movimento, ma come lente attraverso la quale guardare; non fa riferimento a una denominazione specifica né a un particolare fenomeno religioso storico. Non intende nemmeno conferire a un insieme di riferimenti biblici un’importanza superiore a quella del resto delle Sacre Scritture.

La definizione “pentecostale” si riferisce piuttosto a uno specifico approccio interpretativo, usato come l’ottica ermeneutica che inquadra la realtà – Dio, l’umanità, la creazione – e la configura come una perfetta interazione di tutto ciò che è vero.[1] Il tema, che colora questa lente con cui si guardano queste verità, è la presenza vivente e operante dello Spirito di Dio.

Eppure, che cosa c’è al centro del movimento o dell’esperienza pentecostale così descritti? In breve, il termine pentecostale indica la discesa tra noi di ciò che è trascendente. Un obiettivo pentecostale è puntato su questa unica premessa centrale: Dio è diventato immanente tra il Suo popolo per mezzo della vibrante presenza dello Spirito Santo (Giovanni 1:14; Romani 14:17; II Corinzi 6:16-19). La potenza, la presenza e la prassi dello Spirito Santo hanno raggiunto questo mondo, in Cristo, e stabilito il popolo di Dio come primizia di tutta la creazione e mezzo di benedizione per tutte le genti (Efesini 1:13; Giacomo 1:18; Atti 1:8). In questo senso, nell’ottica interpretativa pentecostale è certamente presente un aspetto riguardante l’incarnazione (Matteo 1:18, 20). Lo stesso Spirito rigenera e dimora nei credenti e li mette nella condizione, per mezzo delle Scritture, di vedere le cose come realmente sono (Giovanni 3:5, 6, 8; I Corinzi 2:10-12).

Paradossalmente, la discesa del trascendente nel mondo produce un altro tipo di trascendenza per cui, quelli che sono stati rigenerati, suggellati e immersi nello Spirito di Dio, non sono più conformi ai canoni del mondo, e legati ad esso a doppio filo (II Corinzi 1:22; Efesini 1:13; 4:22, 23; Tito 3:4, 5; Filippesi 3:20; I Giovanni 2:15, 16). I credenti rigenerati dallo Spirito, camminano “per lo Spirito” e sono condotti da Lui (Galati 5:16-18, 25; Romani 8:14), e la presenza di Dio, in tal modo, è resa manifesta e progredisce perché si realizza nella loro vita.

Questo significa che il compito dell’interpretazione (ermeneutica), il chiaro insegnamento della Bibbia (esegesi) e la condizione attuale della chiesa (ecclesiologia) richiedono una guida squisitamente spirituale per esaminare accuratamente il tema dello Spirito Santo nel Nuovo Testamento (Giovanni 16:13-15).

L’interpretazione in un’ottica pentecostale: totale e integrata

Si vede chiaramente che un’interpretazione “Spirito-centrica” presenta enormi implicazioni al fine di sperimentare Dio e comprendere la Sua Parola. Questo modo di chiamare in causa le Scritture è, articolato e “totale” in quanto coinvolge l’intero essere: lo spirito, l’anima e il corpo (I Tessalonicesi 5:23). L’azione dello Spirito Santo non si svolge unicamente a livello mentale, ma include anche i sentimenti e la forza (Luca 10:27). L’approccio pentecostale è, altresì, “articolato” perché intreccia le esperienze dello Spirito Santo condivise nel corso del tempo.

Lo Spirito generatore all’alba della creazione (Genesi 1:2) è lo stesso che ha ispirato e compiuto miracoli per mezzo dei profeti (Numeri 11:29). Lo stesso Spirito che, oltre ad aver concepito Gesù nella vergine Maria (Luca 1:34, 35), ha dato potenza a Gesù nel corso della Sua vita terrena (Luca 4:14, 18) e Lo ha risuscitato dai morti (Romani 8:11). Cristo, in seguito, battezza la chiesa nello Spirito Santo (Matteo 3:11; Atti 1:5; 2:33; 11:15, 16) e infonde in quei primi credenti, e anche in noi, la potenza per annunciare l’Evangelo fino agli estremi confini della terra (Atti 1:8). Un vangelo che non è proclamato soltanto a parole, ma anche con una forza miracolosa, quale dimostrazione dello Spirito Santo all’opera (Romani 15:18, 19; I Corinzi 2:4; I Tessalonicesi 1:5; Ebrei 2:4).

Riassumendo, nel momento in cui approcciamo la Bibbia in un’“ottica pentecostale”, comprendiamo che in Genesi era attiva la Persona e l’opera dello Spirito Santo di Genesi, la medesima che è intervenuta nella vita dei fedeli nel corso delle varie epoche, inclusa la nostra. Per quel che riguarda gli antichi, la loro storia con Dio ci appartiene, e la loro esperienza nello Spirito Santo è analoga alla nostra. In altre parole, c’è un’unità indistinta tra i vari scenari spirituali, quello scritturistico e la nostra attuale comunione con lo Spirito Santo. In questo modo, il credente contemporaneo partecipa alla vita dello Spirito così com’è accaduto nel passato, e come si manifesterà nel futuro.

Tutto questo tende ad abbattere il “muro di separazione” tanto evidente in molte interpretazioni moderne della Bibbia, soprattutto di matrice occidentale. Con “muro” s’intende quella barriera artificiale costruita per separare un approccio accademico dalla formazione spirituale. Tuttavia, pentecostale non significa sostituire la sana dottrina biblica con un’esperienza devozionale soggettiva, priva di riflessione e di studio, poiché al cuore dell’esperienza pentecostale c’è un profondo senso della rivelazione biblica. Questo vuol dire che la proto-rivelazione dello Spirito, cioè le Scritture, rappresenta l’autorevole punto di riferimento per qualsiasi studio pentecostale.

Lo Spirito Santo si rivela nella Parola, ma opera nella storia (Luca 3:1-3); Dio parla nelle vicende umane, pertanto il pentecostale considera rivelatore il contesto storico nel quale lo Spirito agisce (Galati 4:4). La lingua, la grammatica e la storia sono tutte impregnate della Persona e dell’opera dello Spirito Santo e sono parte integrante della rivelazione di Dio. Eppure, questa multiforme rivelazione è concepita per noi, affinché sia attiva in noi e si esprima attraverso di noi (Romani 10:8; cfr. Deuteronomio 30:14).

L’interpretazione “Spirito-centrica” smonta l’innaturale divisione che separa la ragione dallo spirito, il pensiero dal cuore e la mente dalle emozioni. Quella che potremmo definire “pentecostale”, celebra la sintonia divina che caratterizza la Trinità da cui deriva la gioia del regno (Romani 14:17) e il genuino frutto dello Spirito (Galati 5:22, 23) che sono per il credente rigenerato una realtà sempre presente. A volte questo dialogo umano-divino supera le restrizioni tipiche delle nostre prospettive ed è allora che questo discorso, diretto dallo Spirito Santo, esprime la devozione in una lingua che si attiene più alla grammatica celeste che a quella terrena (Atti 2:4; 19:6; I Corinzi 14:39).

Tutto questo vuol dire che un approccio pentecostale andrà a sostituire l’interpretazione antropocentrica di “Dio” con la comunione vivente con il Signore risorto, mediata dallo Spirito Santo dimorante nel credente (Giovanni 14:16, 17). L’esistenzialismo moderno cede il passo all’essere “in Cristo” (II Corinzi 5:17) e alla trasformazione per opera dello Spirito (II Corinzi 3:18). I doni di Dio non sono cessati (Giacomo 1:17; Atti 2:38, 39), anzi, la benevolenza divina, concessa per il bene comune (I Corinzi 12:5-7), continua a manifestarsi.

L’interpretazione delle Scritture in un’ottica pentecostale, non oggettivizza le Scritture quasi fossero un antico reperto da sezionare e analizzare con estrema acribia. In realtà la Parola di Dio è vivente, operante e permanente e non può che esercitare su di noi un effetto interpretativo più potente di quello che noi soggettivamente sperimentiamo per mezzo di essa (I Pietro 1:23; Ebrei 4:12). Questo vuol dire che le Scritture devono essere studiate non tanto a livello culturale, quanto piuttosto al fine di essere trasformati da esse (II Timoteo 3:16, 17). Non ci sono state affidate affinché le padroneggiassimo a livello mentale, ma perché ubbidissimo a esse come servi devoti (Giacomo 1:22; 2:17).

La rivelazione non ci è stata data per essere addomesticata, così da poter accogliere e accettare la modernità; anzi, la rivelazione stessa diventa l’archetipo rispetto al quale i figli di Dio devono conformarsi ed essere cambiati (Romani 12:1, 2). In altre parole, l’intento originario delle Scritture è diventato paradigmatico e lo Spirito Santo si aspetta che ci atteniamo adeguatamente a questo modello che ci posto dinanzi (Romani 15:4).

L’interpretazione in un’ottica pentecostale: completa e universale

Se tutto questo suona come un compito drammatico e definitivo suscitato dall’alto… in effetti lo è. L’interpretazione in un’ottica pentecostale fornisce una visione panoramica completa e universale. Un simile approccio è imprescindibile, dall’inizio alla fine, e rivela tutto quello che c’è in mezzo, il che vuol dire che quella pentecostale è necessariamente una visione interpretativa con un’impronta escatologica. Lo Spirito Santo promesso sparso sui primi credenti (Atti 2:1-21) ha contrassegnato quegli “ultimi giorni” menzionati della profezia di Gioele (Gioele 2:28). Alla fine dei tempi, l’opera dello Spirito Santo avrà luogo nel ristabilire l’intera creazione e, in vista di quell’evento, Egli potenzia il popolo di Dio (Romani 8:19-23; Efesini 1:13, 14; 4:30). La venuta dello Spirito è un fatto epocale e chiaramente finalizzato, come l’incarnazione e l’ascensione.

La discesa dello Spirito Santo a Pentecoste è stata un evento paradigmatico che si inserisce in un contesto di eventi cosmici legati agli ultimi tempi (Atti 2:19, 20). Questa manifestazione dello Spirito Santo è iniziata con chi è stato creato a immagine di Dio, permettendo a tutti i credenti di diventare la dimora dello Spirito sulla terra (I Corinzi 6:19). Lo Spirito ha iniziato senza di noi e non finirà con noi, poiché è una sorta di “primizia” (Romani 8:23) o “caparra” (II Corinzi 1:22) della piena redenzione che deve ancora manifestarsi appieno (Efesini 1:13, 14).

È chiaro che, per il pentecostale, le espressioni escatologia o fine dei tempi non indicano solamente un’epoca futura, poiché l’effusione dello Spirito Santo, rappresenta una sorta di prolessi, un’anticipazione di tutte le cose nel “qui e ora”, seppur non pienamente ancora. Di certo, anche se al momento camminiamo “secondo lo Spirito” (Romani 8:4), “in spirito … aspettiamo” (Galati 5:5) la nostra redenzione completa. È questa presenza anticipata dello Spirito che geme “dentro noi stessi” e attende la redenzione del corpo (Romani 8:23).

Tutto questo indica che, per il pentecostale, la distanza tra il “già” del regno di Dio e il “non ancora” della condizione attuale è stata decisamente ridotta. Un’interpretazione in chiave pentecostale, realizza che la separazione tra “questa epoca” e “quella a venire” non è impenetrabile ma, anzi, divinamente permeabile (Luca 11:20). Ancora adesso, per mezzo dello Spirito Santo, la presenza e la potenza del regno di Dio scorrono nella vita della chiesa attraverso i carismi (I Corinzi 12:8-10).

Una sana esegesi biblica richiede uno studio del Nuovo Testamento in chiave pentecostale

Quando Dio ha stabilito il Suo patto con il popolo d’Israele, stava già accennando alla sottoscrizione di una nuova alleanza, caratterizzata da un’opera interiore compiuta dallo Spirito Santo (Geremia 31:31-33). Ezechiele profetizza che Dio metterà il Suo Spirito nel nostro cuore, il quale ci permetterà di camminare nei Suoi statuti e osservare le Sue leggi (Ezechiele 36:26, 27). Sulla stessa scia, Gesù parla di una relazione tra il nuovo patto nel Suo sangue (Luca 22:20) e l’effusione dello Spirito sui Suoi discepoli (Atti 1:4, 5; cfr. Luca 24:49).

Nel momento in cui la “promessa del Padre” si adempie nella chiesa, si crea un nesso diretto con la profezia di Gioele sull’effusione dello Spirito Santo negli ultimi giorni (Atti 2:16-21). Luca, infatti, rappresenta costantemente la chiesa come una comunità dotata di potenza carismatica che annuncia la potenza redentiva del regno di Dio per mezzo dell’unzione dello Spirito Santo (Atti 8:13; 19:11, 12). Lo stesso vale per l’apostolo Paolo che, alludendo alle profezie di Geremia ed Ezechiele, comprende che, per mezzo dello Spirito, è stato stabilito un nuovo patto (II Corinzi 3:2, 3). Per lui, i Gentili ripieni di Spirito Santo, che opera miracoli in mezzo a loro, sono il compimento del patto che Dio ha stipulato con Abraamo (Galati 3:1-9). È lo “Spirito di adozione” (Romani 8:15) in virtù del quale gridano: “Abbà! Padre!” (Galati 4:6). Infine, l’apostolo Giovanni, in Apocalisse, scrive di essere stato “rapito dallo Spirito nel giorno del Signore” (Apocalisse 1:10).

Questa rapida panoramica delle Scritture conduce a un’innegabile conclusione: gli autori terreni del Nuovo Testamento, dal primo all’ultimo, comprendono che il piano Cristo-centrico di Dio si stava realizzando per mezzo dello Spirito Santo.


[1] Qui ci troviamo di fronte a un problema di nomenclatura. È difficile trovare un’espressione che catturi l’enorme diversità che si riscontra in un fenomeno come quello pentecostale, che si sta verificando su scala globale. Benché in quest’opera le parole pentecostale e carismatico siano usate come “termini ombrello”, in grado di abbracciare una moltitudine di significati, sono al massimo un ombrello capovolto: raccolgono molto, ma non tutto. Forse espressioni come spirito-centrico o incentrato sullo Spirito rappresenterebbero meglio l’attività dinamica e incessante dello Spirito Santo che è all’opera ancora oggi.


Tratto dal libro
“Lo Spirito Santo nel Nuovo Testamento”